Sul Corriere della Sera è stato pubblicato un interessante servizio di Milena Gabanelli sul lobbismo in Europa e a cui rimandiamo per la lettura integrale. Riportiamo un breve stralcio.
Il lavoro del lobbista è quello di contattare commissari ed eurodeputati trasmettendo loro idee per emendare questa o quella norma. Commissari e deputati, a loro volta, hanno bisogno di confrontarsi per sapere quanto e come incidono le direttive nei vari settori dell’impresa e della società. Un’attività legale quindi, purché avvenga alla luce del sole.
Fra i singoli Paesi, l’Italia, con 841 lobby, è al quinto posto dopo il Belgio (dove ovviamente si registrano molti gruppi stranieri), la Germania, la Gran Bretagna, la Francia. Fra le principali, per costi minimi dichiarati, troviamo: Altroconsumo (5 milioni di euro), Enel (2 milioni), Eni (1.250.000), Confindustria (900.000). Tutti insieme, i quasi dodicimila gruppi di pressione di Bruxelles spendono circa 1,5 miliardi all’anno. A che cosa servono? A mantenere uffici e personale, a fare convegni e campagne d’opinione in diversi Paesi. O a comprare voti, leggi, e figure delle istituzioni, questo è il dubbio spesso evocato.
Il lobbismo delle imprese è più aggressivo. Di norma, ogni proposta di legge raccoglie in Parlamento 50-100 emendamenti, ma a volte sono molti di più e in questi casi possono infilarsi quelli proposti, o scritti direttamente, dai lobbisti e ricopiati pari pari dai deputati.
Secondo un rapporto del 2015, le lobby dei farmaci spendono tutte insieme 40 milioni di euro. EFPIA, European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations, nel 2018 ha speso 5,5 milioni
Corriere della Sera – 8 aprile 2019
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