Tutti i risultati dovranno essere pubblicati, anche quelli negativi. E poi: indicazioni dettagliate sul protocollo, i partecipanti, gli effetti collaterali dei farmaci e gli strumenti statistici usati per analizzare i dati. Tutto per rispettare la nuova parola d’ordine: trasparenza
Il giro di vite, voluto da entrambe le istituzioni, vuole correggere le storture del passato: da un’indagine condotta nel 2014 su 400 trial clinici scelti casualmente era emerso che nel 30 per cento dei casi dopo quattro anni dalla conclusione dello studio ancora non si trovava traccia dei risultati. Molti trial che fallivano nelle prime fasi non venivano pubblicati affatto. «Eppure – spiega su Nature Christopher Gill della Boston University – dalla prospettiva dei consumatori e degli scienziati, i fallimenti sono altrettanto importanti dei successi».
La legge del 2007 imponeva a chiunque avviasse dei trial clinici che coinvolgessero esseri umani di iscriversi al portale ClinicalTrials.gov, il principale database di studi clinici al mondo, e di descrivere il metodo e i risultati del programma di ricerca. Ma erano previste così tante eccezioni e scappatoie che la totale trasparenza diventava un miraggio difficilmente raggiungibile.
Le nuove regole prevedono che la registrazione a ClinicalTrials.gov venga effettuata entro 21 giorni dal reclutamento dei primi pazienti. I ricercatori non potranno aspettare i risultati del trial per pubblicare i dati, ma dovranno farlo strada facendo. Il progetto del trial dovrà poi essere rivelato in tutti i dettagli: come verrà svolto, quali strumenti statistici verranno usati per analizzare i risultati, le eventuali modifiche al protocollo decise in corso d’opera. Tutto ciò ha uno scopo ben preciso: impedire il fenomeno del “p-hacking”, che, in estrema sintesi, significa costruirsi dei risultati su misura. Uno dei modi per farlo è analizzare i dati con strumenti diversi e riportare solo quelli favorevoli.
Altra novità: i ricercatori sono tenuti a riportare la razza e l’etnia dei partecipanti. Inoltre devono fornire tutte le informazioni possibili sugli effetti avversi e collaterali che avvengono con una frequenza superiore al 5 per cento delle volte. Dalle nuove regole sono esentati alcuni studi finanziati da privati: piccoli trial che servono per analizzare solamente la sicurezza di un farmaco o la fattibilità di uno strumento medico e gli studi sul comportamento. Il National Institute of Health però obbliga tutti i ricercatori, anche quelli coinvolti in studi di quel tipo, a riportare i dati.
I trial precedenti al 2008 continueranno a seguire la vecchia normativa.
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