Il perfetto dittatore diventa un perfetto farmacista che prescrive e dispensa.
Alberto Grandi Pubblicato giugno 5, 2014 – WIRED.it
Leggo in rete che il 12 giugno uscirà in Italia (con un anno di ritardo rispetto agli Usa) “The Congress” un film ispirato al romanzo fantasy (scrive Repubblica) “Il congresso del futuro” (scrive Panorama) scritto da Stanislaw Lem. La pellicola, girata da Ari Folman, già Golden Globe per miglior film straniero con “Valzer con Bashir” (2008), combinerà recitazione in carne e ossa e animazione. Si tratta di una buona notizia, precisiamo però che il titolo del romanzo di Lem è “Il congresso di futurologia” (non “Il congresso del futuro”) e che si tratta di un’opera di fantascienza (che non ha nulla, proprio nulla di fantasy). Tempo fa, dopo aver letto questo romanzo, avevo scritto un post (sul vecchio sito di Wired.it) dove mi auguravo proprio che ne facessero un film. Lo ripropongo dato che è tornato di attualità. Insieme a un breve video del film di imminente uscita.
Romanzo straordinario, si intitola “Il congresso di futurologia” (Marcos Y Marcos, 12 euro). Lo ha scritto Stanislaw Lem, grande autore di fantascienza umoristica e filosofica, firma, tra l’altro, di un classico di genere, “Solaris”, portato per ben tre volte sullo schermo.
“Il congresso di futurologia”, romanzo breve di S. Lem
Che io sappia, “Il congresso” non è mai diventato film, ma lo meriterebbe. La trama, in sintesi: un astronauta di nome Tichy viene invitato in Costaricana in un albergo della catena Hilton dove si tiene un congresso sul futuro. Ben presto scoppia una guerriglia urbana e nell’aria vengono aspersi strani gas che producono nel cervello di chi li respira, le più bizzarre allucinazioni. Tichy viene ibernato per evitare che muoia a seguito di un incidente.
Quando si risveglia dall’ibernazione si ritrova in un mondo apparentemente felice ed equilibrato. Ma realtà non è quella che si vede, che si sente, che si tocca, insomma, quella che viene percepita perché la percezione è distorta da combinazioni sempre più sofisticate di farmaci che ci tengono lontani dalla verità. Mentre leggevo questo romanzo, di straordinaria attualità, mi veniva in mente il film “Matrix”. Anche lì si parla di percezione distorta. Gli uomini vivono la falsa illusione di un software che li tiene lontani da una realtà terribile. Il romanzo di Lem, pubblicato nel ’73 parla della stessa cosa ma vissuta dalla prospettiva della medicina e della farmacologia – all’epoca, Internet come la conosciamo oggi non esisteva ancora.
Nel romanzo di Lem, dunque, la dittatura è la dipendenza dai farmaci. Farmaci però che devono essere combinati ad altri farmaci per tenere “viva” la loro azione illusoria. Questa della giusta combinazione è uno degli aspetti interessanti del romanzo, del lento abbandono di un farmaco e dell’altrettanto lenta assunzione di un altro affinché le illusioni combacino l’una con l’altra e la grande farsa della felicità rimanga in piedi. Il perfetto dittatore diventa un perfetto farmacista che prescrive e dispensa.
La nuda verità che Lem ci fa scrutare alla fine, è così terribile che il lettore stesso si chiede se alla fine non sia meglio l’illusione della droga al trauma della realtà. È giusto che un malato terminale sia consapevole fino alla fine? O che il carcerato che cammina lungo il braccio della morte fino alla camera dove avverrà l’esecuzione, passo dopo passo sia conscio della sorte terribile che lo attende? Fino a che punto la verità è conoscenza e quando è solo sofferenza?
Molte domande agitano questo romanzo breve, dalla prosa vitale e umoristica, come sempre sono le pagine di Lem. Lo consiglio. È esso stesso una droga. Una bella botta che fa crepitare il nostro sistema nervoso sempre più assuefatto.