Il medico convenzionato con il S.S.N. che prescriva ai pazienti farmaci segnalati da promotori di ditte farmaceutiche dietro compenso, pone in essere una condotta riconducibile nelle modalità esplicative al comparaggio e sotto il profilo della qualità dell’agente al delitto di corruzione.
la Suprema Corte ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Firenze il 2 ottobre 1999 che aveva rubricato le condotte ascritte ai sanitari inquadrandoli nel delitto di cui all’art. 318 c.p..
La Corte, adottando il canone ermeneutico offerto dalle difese dei ricorrenti, ha ritenuto erronea la qualificazione dei fatti nella fattispecie di cui all’art. 318 c.p. ritenendoli sussumibili nella fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 123, D.Lgs. n. 219 del 2006.
Il rapporto tra la contravvenzione di cui all’art. 123 "concessione o promessa di premi o vantaggi pecuniari o in natura" e la disposizione di cui al 170-172, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 si impone secondo lo schema del reato necessariamente progressivo e postula l’applicazione della fattispecie che contiene l’elemento specializzante: lo scopo.
Invero anche la fattispecie di cui all’art. 318 c.p. contiene un elemento specializzante sotto il profilo della qualità dell’agente, rispetto al reato di comparaggio, ossia la qualità di pubblici ufficiali rivestita dai medici.
A ben vedere, ai fini della configurazione del reato di corruzione propria, la Suprema Corte ha ritenuto che il pubblico ufficiale dovesse vanificare le funzioni a lui attribuite, poiché solo in tal modo potrebbe ritenersi integrata la violazione dei doveri di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono.