L’Agenzia Italiana per il Farmaco (Aifa) ha pubblicato il primo Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci, un rapporto che analizza il consumo di medicine alla luce delle disparità socio-economiche sul
Non è una questione etnica o geografica: l’uso dei farmaci, emerge dall’analisi, è più elevato nelle aree più svantaggiate. Lo si osserva confrontando, come fanno gli autori del rapporto, i dati sui consumi di medicine con la mappa dell’«indice di deprivazione socio-economica», un numero che tiene conto del livello d’istruzione, dell’occupazione, della composizione del nucleo familiare, della densità e della condizione abitativa della popolazione. L’associazione tra abuso di farmaci si inverte solo per i farmaci anti-depressivi (più utilizzati al nord e dalle donne) e per quelli anti-demenza (più diffusi nelle regioni centrali).
I dati Aifa confermano che per migliorare lo stato di salute delle persone occorra agire sui fattori socioeconomici che lo determinano. Come spiega ancora Magrini, «non possiamo non essere tutti consapevoli della modificabilità di questi determinanti». È un appello implicito affinché la politica (non solo quella sanitaria) intervenga, magari sfruttando le risorse messe a disposizione dal Pnrr. L’importanza dei determinati socio-economici della salute è emersa negli ultimi decenni soprattutto grazie al lavoro di ricerca dell’epidemiologo inglese Michael Marmot, autore dell’importante La salute diseguale (Il pensiero scientifico, 2016) e intervenuto alla presentazione del rapporto Aifa. Non è un approccio banale come sembra: al contrario, esperti e decisori politici hanno spesso trascurato questi fattori. Grazie anche ai travolgenti sviluppi della biologia molecolare degli ultimi decenni, gli scienziati hanno dedicato molte risorse in più a cercare l’origine genetica della predisposizione alle malattie. E questo ha generato l’impressione sbagliata che la salute di un individuo possa essere esaminata senza considerare il suo contesto sociale.
In altri casi, come nella lotta al cancro, ha portato spesso a confondere la «prevenzione» della malattia con la «diagnosi precoce». Anche molte scelte discutibili operate durante la pandemia – si pensi alle strategie anti-pandemiche che hanno riguardato migranti, detenuti, alunni e lavoratori – sono nate da questo errore.
Il Manifesto – 16 settembre 2021
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