Michele Bocci. «A metà degli anni ‘90 i malati di Aids si spostavano all’estero per procurarsi trattamenti salvavita qui ancora non disponibili», raccontano dall’associazione Anlaids. In molti casi infatti non è tanto il prezzo a rendere proibitiva la cura da noi, perché questa è a carico del sistema sanitario, quanto il fatto che un certo medicinale non è ancora in commercio ma già disponibile in altri Paesi. Inoltre succede che la scelta di mettere criteri di precedenza nell’accesso alle terapie spinga i malati esclusi a prenotare un biglietto per un viaggio all’estero.
I nuovi farmaci per l’epatite C offrono un esempio calzante. All’inizio Gilead ha proposto agli Usa il suo sofosbuvir a oltre 84mila dollari per trattamento di 12 mesi. In Europa si è prima dimezzata la cifra di partenza poi si sono fatti accordi con nuovi ribassi. In Egitto però il medicinale si compra con alcune centinaia di euro. In Italia si conta di finire entro l’estate di sottoporre a terapia i 50mila pazienti in condizioni peggiori spendendo 750 milioni di euro. Ma i malati sono molti di più, così qualcuno anche se non ha una fase avanzata della malattia se ne va verso il farmaco low cost. Ivan Gardini è presidente dell’associazione di malati EpaC: «Almeno 10 nostri associati sono andati in India o in Egitto. Si sono portati la ricetta italiana ma qualcuno si è addirittura fatto visitare in un ospedale indiano. Il costo è di circa 1.500 euro a terapia. Sono persone che non vogliono aspettare il peggioramento della malattia. Va trovata una soluzione: tutto questo un domani potrebbe succedere per tumori o diabete». I farmaci innovativi sono sempre più cari e c’è davvero il rischio che i sistemi sanitari nazionali non riescano a sostenere la spesa per acquistarli. Sarebbero costretti a scegliere con criteri sempre più stringenti a chi darli, alimentando altri spostamenti. Anche l’industria è chiamata in causa, visti i profitti. Si stima che Gilead solo nel 2015 abbia fatturato con gli anti-epatite 19 miliardi di dollari.
Fondamentale per la cura di milioni di persone nel terzo mondo è la sopravvivenza della “farmacia dei Paesi in via di sviluppo”, cioè proprio l’India, patria del farmaco low cost. Medici senza frontiere ha avviato una campagna contro la pressione esercitata dagli Usa per far modificare le politiche indiane sulla proprietà intellettuale: «Milioni di persone potrebbero perdere la possibilità di fruire di farmaci economicamente accessibili». Il Paese ha una legislazione che permette di non rispettare la naturale scadenza dei brevetti se ci sono esigenze di salute pubblica. Inoltre, come spiega Silvia Mancini, epidemiologa di Msf, «hanno imposto di brevettare e mettere sul loro mercato soltanto i medicinali realmente innovativi. Come sappiamo, in Occidente si creano farmaci evergreen, cioè si interviene alla scadenza del brevetto per “rinfrescare” molecole con piccole modifiche. Così i prezzi restano alti. In India questo non viene permesso e si abbattono molto i costi, puntando sulla competitività dei generici. Così, ad esempio, in 10 anni il costo di alcune molecole per l’Hiv è passato da 10mila a 100 dollari a paziente». Riguardo ai generici, sono diffusi da molti anni anche da noi e possono essere considerati low cost: costano meno e hanno portato ad abbassare il prezzo di quelli “di marca” con il brevetto scaduto. Chi li usa vuole risparmiare eppure resta uno zoccolo duro di cittadini tra i quali questi medicinali equivalenti non sfondano. E così ogni anno gli italiani spendono la bellezza di 1 miliardo di euro di tasca propria per pagare la differenza tra il costo del generico e quello del farmaco con il brand, non è rimborsato dal sistema sanitario. C’è chi fugge dall’Italia per trovare il farmaco low cost e chi snobba quello che ha in casa.
Negli Usa quello per l’epatite C costa 84mila dollari. In Egitto solo poche centinaia di euro
È l’unica speranza di chi vuole l’accesso alle cure per gli ultimi del pianeta ma anche di chi cerca medicinali impossibili da ottenere nel suo Paese e infine, più banalmente, di chi ha necessità di risparmiare senza allontanarsi dalla farmacia sotto casa. Nel mercato globalizzato di Big Pharma il medicinale low cost,resiste strenuamente alla spinta sempre più forte verso il business, anche se trova la sua origine proprio in questo fenomeno. Uno dei postulati del sistema economico creato dalle grandi industrie prevede infatti che il prezzo di ciascun medicinale sia diverso a seconda della nazione dove viene commercializzato. Una molecola negli Usa può costare un po’ di più che in Europa, dove in ogni Paese ci sono tariffe diverse, e enormemente di più che in Nord Africa o India. «Per forza, se su quei mercati usassero listini paragonabili ai nostri le case farmaceutiche non incasserebbero niente», chiarisce Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri. Si cerca di ottenere il massimo possibile da ogni Stato, poco male se questo meccanismo svela quanto sono alti i margini di guadagno.
Anche per questo sistema chi ha necessità di una cura ma non riesce ad ottenerla da noi si sposta. Impossibile avere i dati di quanti siano ogni anno a partire alla caccia della pasticca low cost. Si tratta di persone che a volte rischiano anche di incappare in medicinali contraffatti e quindi molto pericolosi. E infatti in molti casi spendere meno vuol dire rischiare, anche e soprattutto se non ci si sposta da casa ma ci si rivolge al canale online, dove la contraffazione farmaceutica è in mano a organizzazioni criminali, visti i fatturati che assicura.