Avere una malattia cronica che potrebbe aggravarsi con conseguenze irreversibili e sapere che una medicina per curarla c’è ma non possiamo averla: costa troppo. Lo Stato ce la darà, ma solo dopo che ci saremmo aggravati.
E’ la condizione in cui si trovano migliaia di italiani che convivono con il virus dell’Epatite C (Hcv), una malattia del fegato che, se si cronicizza, compromette anche altri sistemi e favorisce altre patologie. Dalla fine del 2014 sono state autorizzate e rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) cure in grado di guarire questa patologia rapidamente e senza effetti collaterali. Si tratta delle terapie antivirali dirette prive di interferone, estremamente efficaci ma anche costosissime, il cui prezzo al pubblico arriva a 70mila euro per persona. Per poter offrire questi farmaci innovativi il governo ha istituito uno specifico fondo da un miliardo per due anni (2015-2016), ma questi soldi sono sufficienti a curare solo una parte dei malati più gravi – circa 50mila persone- mentre il Piano nazionale per la prevenzione delle epatiti virali, approvato dalla conferenza Stato-Regioni all’inizio dell’anno, stima che siano un milione gli italiani con il virus e 330mila quelli in cirrosi epatica. L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), ha stabilito che per accedere alle nuove cure bisogna essere in una condizione di cirrosi epatica, nello specifico avere una fibrosi F3 o F4, ovvero i due livelli più alti di danno del fegato.
La coinfezione Hiv/Hcv: una “relazione pericolosa” non riconosciuta in Italia.
S
Il dato è ancora più preoccupante se confrontato con quello della corte Icona (che studia quasi 14mila italiani con Hiv): al dicembre 2015 circa il 60% dei pazienti coinfetti e già giunti allo stadio di cirrosi non sono ancora stati trattati. Eppure sono proprio i coinfetti a rispondere particolarmente bene ai nuovi trattamenti: dai dati raccolti nell’area di Bologna risulta che il 99,3% dei pazienti in hiv-Hcv trattati con i nuovi farmaci sono guariti, mentre l’eradicazione della malattia nei monoinfetti si ferma all’88%.
Il rischio tumori se la cura arriva tardi
A Catania sono stati registrati due casi in cui sono insorti epatocarcinomi – ovvero tumori determinati dalla malattia del fegato – in due persone in cui l’Epatite C era già stata debellata grazie alle nuove, costosissime cure. Ciò è successo perché quando il virus era stato finalmente eliminato, l’organo era stato già danneggiato irreversibilmente. Il paradosso che si evidenzia è che, se da un lato tutti i medici intervistati sono convinti che l’eradicazione della malattia significa guarigione per il paziente solo se è preso in tempo, ovvero prima della cirrosi, dall’altro proprio i pazienti in questa condizione (con fibrosi del fegato F2 o inferiore) sono oggi esclusi, per legge, dall’accesso alle cure. Alle persone con Epatite C e il fegato ancora in buono stato, le nuove cure vengono rifiutate persino se sono malate di cancro o hanno gravissime malattie del sangue, ci è stato detto a Catanzaro. Ma il trattamento, se arriva tardi, potrebbe addirittura peggiorare la malattia: due casi di questo tipo sono stati segnalati a Bologna.
La burocrazia che ritarda le cure
Ritardi nell’accesso alle cure sono stati segnalati anche per le persone che ne hanno diritto. Questo dipende, oltre che da problemi finanziari delle regioni, anche dalla mancanza di personale sufficiente a seguire con attenzione tutti i pazienti, in alcuni ospedali. Tra gli ostacoli alla prescrizione dei nuovi farmaci, diversi medici, a Roma e Modena ci sono state segnalate pesanti incombenze burocratiche, che ricadono sulle spalle degli operatori sanitari e che avrebbero potuto essere evitate se Aifa avesse stabilito un sistema di coordinamento con regioni nelle procedure di prescrizione. Oltre al personale, in alcune regioni mancano anche gli strumenti necessari per la prescrizione. In tutta la Calabria c’è un solo fibroscan, ovvero lo strumento che serve per misurare il livello di fibrosi: un grosso problema per coloro che ancora non hanno avuto accesso alla cura e devono restare sotto controllo.
Se la cura con interferone costa poco meno dell’Harvoni
La reinfezione
A Milano e Roma vengono segnalati, nei gruppi vulnerabili, casi di reinfezione da Hcv anche dopo la cura. Si tratta di un rischio che potrebbe essere affrontato curando un maggior numero di persone. Ma è importante anche anche l’informazione poiché, come ci è stato segnalato, in molti casi l’Epatite C è stato trasmesso durante incontri sessuali attraverso strumenti usati per inalare sostanze che non venivano ritenuti a rischio: il virus è passato anche se il rapporto era protetto.
Superfarmaci e superguadagni
Abbiamo inviato all’ufficio italiano di Gilead, l’azienda farmaceutica americana produttrice dei principali tra i superfarmaci, il Sovaldi e l’Harvoni, otto domande perché ci aiutassero a comprendere le prospettive dell’accesso alla cura nel nostro paese. Ma dopo che le domande sono state valutate ci è stato comunicato che la direzione italiana dell’azienda ha deciso, per il momento, di non rispondere. Eppure sul suo sito web la multinazionale rivendica che nel 2014 ha “aiutato più persone di sempre”. Certamente, come emerge dai suoi bilanci, quell’anno ha guadagnato molto più di sempre: 12,4 miliardi di dollari sono stati infatti i ricavi della vendita dei due prodotti nel 2014, il doppio dell’anno precedente. E nel 2015 ha fatto ancora meglio: gli introiti dei due superfarmaci sono arrivati a 19,13 miliardi di dollari (13.86 dall’Harvoni e 5,27 dal Sovaldi). Una bella fetta di questi guadagni sono venuti direttamente dall’Italia, dove il Servizio Sanitario Nazionale ha speso per il solo Sovaldi nei primi nove mesi del 2015 680 milioni di euro: una cifra superiore a quella destinata all’acquisto dei 10 antitumorali più costosi acquistati dal Ssn, come ha evidenziato un’analisi di Healthdesk sull’ultimo rapporto Osmed (Osservatorio sull’Impiego di Medicinali) di Aifa. Gilead ha così recuperto l’investimento di 11,2 miliardi di dollari fatto nel 2012 quando ha acquistato l’azienda Pharmasset Inc. detentrice del brevetto sulla molecola del Sofosbuvir che è alla base di Sovaldi e Harvoni.
La “soluzione” indiana e lo scetticismo dei medici
Pubblicato: Mercoledì, 23 Marzo 2016 11:34 |
Io, salvata dai farmaci indiani
Pubblicato: Mercoledì, 23 Marzo 2016 13:05 |
Notizie correlate: Registri AIFA: l’Agenzia fornisce informazioni sui dati dei trattamenti con i nuovi farmaci per la cura dell’epatite C
Sovaldi/Harvoni – Attività di rimborso alle regioni in attuazione del meccanismo prezzo/volume
Epatite C, farmaci senza effetti collaterali
Anti-epatite, Gilead dovrà pagare a Merck 200 milioni di dollari
Epatite C: si apre in India il caso sul brevetto del farmaco Sofosbuvir della Gilead
In India o Egitto per super cure anti-epatite C, crescono i “viaggi della speranza”
Epatite C. In Trentino ci sono circa mille pazienti
Epatite C, la rabbia dei malati: “Il nuovo farmaco non è per tutti”
Epatite C: arrestare una malattia o incentivarne la progressione?