Processo Menarini. Motivazione sentenza di assoluzione in Appello

Menarini, motivazione sentenza Appello: non contestabile in sede penale adesione a scudo fiscale

Qui Finanza – 9 marzo 2019

“Ritiene questa Corte che non sia concettualmente corretto contestare in sede penale la adesione alle procedure di rimpatrio di capitali, comunemente definite scudi fiscali, riportandole al paradigma del delitto di riciclaggio”. E’ questo uno degli aspetti più significativi della motivazione della sentenza di assoluzione disposta in secondo grado di giudizio, perché i fatti non sussistono, a conclusione del cosiddetto “Processo Menarini” dalla Corte d’Appello di Firenze il 5 dicembre scorso nei confronti dei fratelli Lucia e Alberto Giovanni Aleotti. I due, figli del patron della multinazionale farmaceutica Sergio Aleotti deceduto nel 2014, erano stati condannati dal Tribunale rispettivamente a 9 anni e ai 7 mesi e a 7 anni e 7 mesi per riciclaggio.

A novanta giorni dalla conclusione del processo di Appello, tra le 175 pagine di motivazione redatte dai relatori Venarubea e Bagnai, si legge così che “ad un primo e più elementare livello di approssimazione, appare intuitiva la difficoltà (per non dire l’incongruenza) logica insita nell’attribuire rilevanza penale ad una condotta che – in definitiva – si risolve tutta nell’esercizio di una facoltà prevista da una legge dello Stato”.
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Affermazioni queste che accolgono quanto sostenuto nell’atto di appello dell’Avvocato Alessandro Traversi di Firenze, difensore di Lucia Aleotti e che dispongono la restituzione dell’ingente patrimonio (un miliardo e 200 milioni di euro), la più alta somma di denaro mai sottoposta in Italia a confisca.

Altro punto qualificante della sentenza, è quello relativo alla posizione soggettiva di Lucia Aleotti, che in primo grado era stata appunto condannata per concorso nel delitto di riciclaggio. Anche in questo caso la Corte ha recepito le argomentazioni della difesa riconoscendo che non vi è stato da parte sua alcun apporto alla attività riciclatoria del padre.

In particolare, i relatori scrivono che la ritenuta affermazione di responsabilità da parte del giudice di primo grado è una “conclusione meramente congetturale e peraltro illogica. Congetturale, in quanto sprovvista di qualsivoglia sia pur minimo riscontro fattuale ed altresì illogica nel suo tentativo di superare la spiegazione alternativa proposta dalla difesa”.

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