È già il maggior gruppo mondiale del settore ma ora tenta di acquisire l’AstraZeneca con rilanci a raffica che hanno già portato oltre i 100 miliardi l’offerta: una scelta imposta dalla scadenza dei brevetti
New York Sono bastate poche ore perché il board della AstraZeneca, numero due dell’industria farmaceutica britannica, respingesse “senza esitazioni” la seconda offerta di acquisizione in pochi mesi da parte dell’americana Pfizer. L’operazione avrebbe creato il più grande gruppo mondiale del comparto e Ian Read, 61 anni, di cui 36 alla Pfizer e tre come chief executive officer, aveva messo sul piatto 106,5 miliardi di dollari, cioè 8 miliardi in più rispetto alla precedente proposta presentata a gennaio. Ma sempre troppo pochi, secondo Pascal Soriot, l’amministratore delegato della AstraZeneca, secondo cui verrebbe minimizzato il valore del gruppo e dei nuovi farmaci messi a punto dai suoi 9mila ricercatori. Read si è detto “molto deluso” dalla reazione dei britannici, ma ha fatto capire che non abbandonerà l’offensiva. “Noi vogliamo comprare, loro vogliono vendere: è chiaro che diranno sempre che la nostra proposta sottovaluta l’AstraZeneca”, ha ironizzato il chief executive. Secondo la legislazione inglese sui takeover, la Pfizer ha tempo fino al 26 maggio per alzare la posta. E mentre il management ha avviato una serie di contatti politici per smussare gli ostacoli e convincere il premier David Cameron che non saranno penalizzate né l’occupazione né la ricerca, si fanno le prime ipotesi sull’ammontare della terza offerta. Se la prima era di 46,61 sterline ad azione e la seconda di 50, quella finale potrebbe arrivare alle 55 sterline, ovvero un valore complessivo di 110-120 miliardi di dollari. E al tempo stesso potrebbe essere alzata la percentuale dell’importo versata in contanti agli azionisti di Astro-Zeneca, che ritengono insufficiente il 32 per cento dell’ultima proposta. Certo, anche questo pacchetto non sarebbe molto superiore agli attuali valori di mercato della AstraZeneca, le cui quotazioni hanno visto una fiammata negli ultimi mesi e la cui capitalizzazione di Borsa sfiora i 100miliardi di dollari. Comunque l’opinione più diffusa a Wall Street è che, alla fine, l’accordo andrà in porto. Resta un dubbio: come spiegare l’ostinazione della Pfizer? E’ stata forse contagiata dalla febbre delle maxi-fusioni che dall’inizio del 2014 ha già portato ad accordi per oltre mille miliardi di dollari in giro per il mondo, di cui 127 miliardi solo per Big Pharma, come vengono chiamati i protagonisti del settore farmaceutico? In realtà c’è molto di più che la mania di grandezza dei supermanager della quarantaduesima strada di Manhattan, dove ha sede la Pfizer. Fondata nel 1849 dai cugini Charles Pfizer and Charles Erhart, la società si era specializzata all’inizio nella produzione di acido citrico, prodotto soprattutto con citrato di calcio importato dall’Italia. Le difficoltà commerciali legate alla prima guerra mondiale, spinsero la Pfizer a sviluppare altri settori e fu la produzione della penicillina a dare un nuovo impulso all’azienda negli anni Quaranta. Dai laboratori di ricerca costruiti nel 1960 a Groton, nel Connecticut (dove c’è anche la grande base dei sottomarini della US Navy), cominciarono poi a uscire farmaci innovativi: l’anti-infiammatorio Feldene, e nei decenni successivi anche l’anti-depressivo Zoloft, l’anti-colesterolo Lipitor, il Norvasc, il Zithromax, l’Aricept, il Diflucan e ovviamente anche il Viagra, che è diventato uno dei prodotti-simbolo del gruppo, contribuendo in maniera significativa alla sua espansione. Proprio grazie ai mezzi finanziari, la Pfizer è riuscita infatti a conquistare altre aziende del ramo – la Warner–Lambert nel 2000, la Pharmacia nel 2003, la Wyeth nel 2009 – acquisendo così proporzioni immense. Adesso ha 78mila dipendenti, una capitalizzazione a Wall Street di oltre 200 miliardi di dollari (solo a titolo di confronto, il gruppo Fiat Chrysler ha una capitalizzazione di solo 13 miliardi) e un fatturato di 50 miliardi. A dispetto, però, di cifre e dimensioni, il chief executive Ian Read è in una situazione delicata, come hanno confermato i dati trimestrali del gruppo pubblicati la settimana scorsa. Tra gennaio e marzo i ricavi della Pfizer sono scesi del 9 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013, a quota 11,35 miliardi di dollari: 730 milioni in meno delle previsioni degli analisti. Gli utili sono addirittura calati del 15 per cento (2,3 miliardi). La colpa? Soprattutto del calo delle vendite dei medicinali in scadenza di brevetto, primo fra tutti proprio il Viagra, subissati dalla concorrenza dei generici, mentre è ancora poco chiaro quali farmaci di nuova generazione potrebbero uscire dai suoi laboratori dove lavorano più di 10mila ricercatori Si parla di un vaccino contro la meningite, di una pillola contro il mal di schiena, di un trattamento per il tumore al seno e di un altro farmaco anti-colesterolo. Ma è ancora tutto incerto, nebuloso. E anche per questo Read si sarebbe gettato alla conquista della AstraZeneca. Il primo obiettivo è infatti di disporre anche dei farmaci anticancro di nuova generazione, basati sulle immunoterapie, messi a punto dai ricercatori in Inghilterra e in Svezia, dove aveva sede la Astra prima della fusione nel 1999 con la Zeneca. Il secondo obiettivo di Read è di natura fiscale: il suo sogno è di lasciare a New York la sede operativa del nuovo gruppo Pfizer-AstraZeneca (e a Wall Street la quotazione), trasferendo invece la sede legale in Gran Bretagna, in modo, non solo da usufruire delle aliquote inglesi sui profitti societari, che sono più convenienti di quelle americane, ma anche di poter riportare nel bilancio 70 miliardi di dollari di utili accumulati nelle sedi all’estero. Se infatti la Pfizer li riportasse direttamente negli Stati Uniti sarebbe costretta a pagare una cifra proibitiva di tasse. Questi stratagemmi fiscali hanno sollevato non poche polemiche in Gran Bretagna, dove i laburisti di Ed Miliband hanno accusato il governo conservatore di David Cameron di fare il tifo per la Pfizer. Il primo ministro si è difeso ricordando di aver convocato gli executive dei due gruppi per discutere sull’impegno a mantenere nel paese i centri di ricerca, mentre Vince Cable, ministro per il “business”, ha dichiarato: “Il futuro del nostro paese è nell’econo-mia del sapere, non come paradiso fiscale”. In teoria Londra potrebbe bloccare la fusione, o imporne modifiche negli assetti futuri, facendo leva su una clausola a difesa “dell’interesse nazionale” contenuta nella legislazione ad hoc. Se andasse buon fine, si tratterebbe comunque del più grande takeover di una società inglese da parte di un gruppo estero, lasciando la GlaxoSmithKline di Richard Sykes, che resta la prima industria farmaceutica britannica, a fare i conti con Pfizer. Anche negli Stati Uniti non è mancato un dibattito sui risvolti fiscali dell’operazione Pfizer-AstraZeneca. I repubblicani e i rappresentanti di grandi imprese hanno ricordato, da un lato come sia penalizzante la legislazione americana per le imprese proiettate all’estero (quasi tutti i grandi gruppi hanno montagne di miliardi di dollari parcheggiati fuori dai confini nazionali), dall’altro come possa essere deleteria la concorrenza tra sistemi fiscali diversi. Vi è anche una terza giustificazione della mossa di Read: riguarda le prospettive interne della Pfizer. Da quando ha assunto l’incarico al vertice, il manager ha già ristrutturato profondamente il gruppo, procedendo ad alcune dismissioni, a cominciare dai prodotti veterinari, e riorganizzandolo in tre grandi divisioni. Ma nel frattempo la riforma sanitaria americana lascia intravedere maggiori difficoltà nel business tradizionale, mentre stanno per andare a scadenza alcuni brevetti della Pfizer, aprendo così le porte alla concorrenza di prodotti generici. Di qui l’interesse di rilanciare il gruppo attraverso una maxifusione. Qualche analista punta il dito su alcune difficoltà che potrebbero sorgere nell’integrare due gruppi così grossi. “Ma abbiamo già molta esperienza in fusioni del genere”, taglia corto Read, il cui vero ostacolo resta quello del prezzo. Alcune delle cifre più importanti di Pfizer e AstraZeneca, protagoniste della sfida che sta appassionando il mondo “corporate” mondiale Qui sotto, un laboratorio di ricerca della Pfizer negli Stati Uniti: il gruppo ha investito 6,7 miliardi di dollari in R&D nel 2013 NUMERO UNO La Pfizer, con sede centrale a New York, è già oggi il maggior gruppo farmaceutico del mondo. È cresciuto negli ultimi anni grazie ad importanti acquisizioni quali Warner-Lambert e Pharmacia, il gruppo in cui era confluita in precedenza l’italiana Carlo Erba