D’altro canto, la legislatura è trascorsa sotto il segno di un imponente definanziamento che, oltre a determinare una progressiva retrocessione rispetto ad altri paesi europei, sta minando seriamente l’erogazione dei Lea, mettendo in luce il drammatico scollamento tra esigenze di finanza pubblica e programmazione sanitaria. Infine, dopo la bocciatura del referendum costituzionale, nessun passo in avanti è stato fatto per migliorare la governance di 21 differenti sistemi sanitari, anzi si sono moltiplicate le richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni.
Infatti, la tutela del diritto alla salute rimane affidata a una tanto leale quanto utopistica collaborazione tra Stato e Regioni e condizionata da politiche regionali e decisioni locali che determinano gravi diseguaglianze, generano sprechi e inefficienze e influenzano gli esiti di salute. I 21 sistemi sanitari regionali sono di fatto liberi di declinare in maniera eterogenea l’offerta di servizi e prestazioni davanti a uno Stato che si limita ad assegnare le risorse e a verificare l’adempimento dei Lea con una “griglia” capace di catturare solo le macro-diseguaglianze.
E il bastone per punire le Regioni inadempienti dimostra che “la toppa è peggio del buco” perché i Piani di rientro, guidati più da esigenze finanziarie che dalla necessità di riorganizzare i servizi, hanno scaricato sui cittadini un assurdo triplete: servizi sanitari peggiori con nefaste conseguenze sull’aspettativa di vita, addizionali Irpef più elevate per risanare i conti regionali e necessità di curarsi altrove.
Basti pensare che nel 2016 la mobilità sanitaria ha spostato oltre 4,15 miliardi, prevalentemente dal Sud al Nord: vero è che queste spese sono a carico del Ssn, ma non includono i costi che i cittadini devono sostenere per viaggi, disagi e quelli indiretti per il paese che sono enormemente più elevati. Senza contare che la mobilità sanitaria non traccia la mancata esigibilità dei Lea territoriali e soprattutto socio-sanitari, diritti che appartengono alla vita quotidiana e non all’occasionalità di un intervento chirurgico. In tal senso i recenti servizi di Presa Diretta e dell’Espresso hanno portato all’attenzione pubblica l’enorme gap che esiste tra le varie Regioni in termini di sanità.
In questo desolante scenario per la salute dei cittadini, a poco più di un mese dalle consultazioni elettorali, il destino della sanità pubblica non sembra trovare spazio nel dibattito tra gli schieramenti in campo, eccezion fatta per il nauseabondo confronto no-vax/pro-vax, strumentalizzato dalla necessità di attrarre consensi elettorali.
Se, a conclusione dell’indagine sulla sostenibilità del Ssn, la 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato ha affermato che è indispensabile riportare il Ssn al centro dell’agenda politica con un ruolo da prim’attore economico e sociale, la domanda sorge spontanea: quali forze politiche hanno realmente a cuore la sanità pubblica e stanno predisponendo un concreto “piano di salvataggio” per il Ssn, conquista sociale irrinunciabile dei cittadini italiani? Ovvero, tra quelli che aspirano a governare il nostro paese, chi saprebbe rispondere in modo affermativo a tutte queste domande?
- Saremo in grado di prendere tutte le decisioni politiche, non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali, facendoci guidare dalla salute delle persone?
- Riusciremo a offrire ragionevoli certezze sulle risorse da destinare alla sanità, mettendo fine alle periodiche revisioni al ribasso e, soprattutto, di rilanciare il finanziamento pubblico?
- Riusciremo a potenziare le capacità d’indirizzo e verifica del Ministero della Salute sulle Regioni, nel pieno rispetto delle loro autonomie?
- Sapremo gettare le basi per costruire un servizio socio-sanitario nazionale, consapevoli che i bisogni sociali sono strettamente correlati a quelli sanitari?
- Avremo il coraggio di ridisegnare il perimetro dei Lea in base alle evidenze scientifiche e alla costo-efficacia degli interventi sanitari, oltre che ridefinire le spese mediche detraibili a fini Irpef secondo gli stessi criteri?
- Riusciremo a eliminare il balzello del superticket e a definire criteri di compartecipazione alla spesa sanitaria equi e omogenei su tutto il territorio nazionale?
- Sapremo avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione di sprechi e inefficienze, per disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi?
- Avremo il coraggio di attuare un riordino legislativo della sanità integrativa, al fine di tutelare i cittadini ed evitare derive consumistiche e di privatizzazione?
- Saremo in grado di regolamentare adeguatamente l’integrazione pubblico-privato e l’esercizio della libera professione?
- Riusciremo a destinare almeno l’1% del fondo sanitario alla ricerca clinica e organizzativa di cui il Ssn ha realmente bisogno?
- Sapremo davvero rilanciare le politiche per il personale e programmare adeguatamente il fabbisogno di medici, di specialisti e altri professionisti sanitari?
- Saremo capaci di avviare un programma istituzionale d’informazione scientifica per cittadini e pazienti per smentire fake-news, ridurre il consumismo sanitario e facilitare decisioni condivise?
Considerato che il diritto costituzionale alla tutela della salute non può essere condizionato da ideologie partitiche, ma deve essere garantito a tutte le persone, nell’ambito delle attività dell’Osservatorio Gimbe i programmi elettorali di tutte le forze politiche sono attualmente oggetto di analisi comparativa sulle proposte relative a sanità, welfare e ricerca, perché il nostro slogan “salute prima di tutto, sanità per tutti” è condicio sine qua non, oltre che per il benessere delle persone, anche per la ripresa economica del paese.
Nino Cartabellotta Presidente Gimbe -02/02/2018
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