La Giornata Parlamentare del 4 dicembre 2020
Tensione fra Regioni e Governo sul nuovo dpcm
Il momento è delicato. A poche ore dal varo delle nuove misure per il contenimento dei contagi durante le festività natalizie, si apre una frattura tra governo e Regioni. L’accusa rivolta a Palazzo Chigi è di aver bruciato ogni confronto sulle restrizioni, che gli enti locali hanno solo letto nel decreto Natale approvato mercoledì sera in Cdm, senza possibilità di dire la propria. Da queste motivazioni nascono lo “stupore e rammarico” delle Regioni “per il metodo seguito dall’esecutivo”, sottolineando che questo modo di fare “contrasta con lo spirito di leale collaborazione” che ha caratterizzato la strategia di contrasto alla pandemia finora. Il j’accuse cozza con la replica del premier Giuseppe Conte, che parla di “confronto proficuo” provando a sminare il campo e c’è un passaggio che collide con il pensiero dei governatori, cioè quando afferma “Abbiamo raccolto le loro osservazioni sulla bozza del Dpcm”. La linea che passa, infatti, è quella del Governo, dunque il divieto di spostamento da una Regione all’altra e nei giorni più intensi, 25-26 dicembre e 1 gennaio nemmeno tra Comuni (anche se, assicura il premier, tra i motivi di necessità è compresa la cura di persone non autosufficienti). È il punto di contrasto più ruvido: “Servono misure eque, non si può fare questa disparità tra un Comune di poco più di 100 anime e Roma che ha 2,8 milioni di abitanti”, tuona il presidente del Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. Sulla stessa lunghezza d’onda è il governatore della Liguria e vicepresidente della Conferenza delle Regioni Giovanni Toti che picchia duro: “Trovo assai scorretto che il Governo adotti certe misure senza neppure parlarne con gli Enti locali”.
Al coro che si leva contro Roma si uniscono anche Attilio Fontana e Luca Zaia. Conte rassicura: “In un paio di settimane tutta Italia sarà gialla. Il sistema delle Regioni colorate funziona, le misure che adottiamo sono adeguate e proporzionate al rischio effettivo, senza ulteriori penalizzazioni”. Il nervosismo mai come questa volta è trasversale e coinvolge anche la maggioranza, che dà segni d’insofferenza. A Iv proprio non vanno giù le limitazioni. che definisce “incomprensibili”, e la capodelegazione Teresa Bellanova invita al “buonsenso”, permettendo “alle persone il giorno di Natale di non essere consegnate alla solitudine più nera”. Esattamente la linea di 25 senatori del Pd che, in una lettera al capogruppo Andrea Marcucci, gli chiedono di “attivarsi con il Governo affinché lo spostamento tra Comuni nelle giornate del 25-26 dicembre e 1 gennaio possa avvenire per poche ore con i propri familiari”. La risposta arriva a stretto giro di posta, ma non è quella che i dem si aspettavano: “Coprifuoco e stop spostamenti punti inamovibili”, chiude il Ministro degli Affari regionali Francesco Boccia, che pure alle Regioni risponde a tono: “Risulta incomprensibile il vostro stupore per l’utilizzo del decreto anziché del dpcm su questioni abbondantemente conosciute”. Sempre in tema di Enti locali, un altro punto controverso è rappresentato dalla scuola, perché, al netto della ripresa delle lezioni a partire dal 7 gennaio, “non risulta chiaro quando e come debba invece ripartire la didattica integrata e quale sia la popolazione interessata”; immediata la replica della Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina che ottiene una modifica in corsa al Dpcm: così dal 7 gennaio il primo ciclo sarà in presenza al 100%, mentre le superiori al 75. Ai governatori sembra, poi, “incongrua” anche “la soluzione che siano i Prefetti a presiedere i tavoli di coordinamento”, posizione non condivisa, invece, dai sindaci.
La tensione nel Governo è altissima
Giuseppe Conte si presenta alla conferenza stampa per presentare il nuovo dpcm con le misure anti contagio al termine di una giornata di critiche e tensioni nella maggioranza, e di scontro con l’opposizione. Annuncia un Cdm sul Recovery fund, assicura che stanno andando in porto i dossier Ilva e Autostrade, invita a “non drammatizzare” le divisioni sul Mes, e torna a “rabbrividire” all’idea del rimpasto, anche se, in una fase che descrive come quella del “rilancio” del Governo, dice che non si “sottrarrà al confronto” se qualcuno dei partiti della maggioranza lo chiederà. A breve, servirà un tavolo con i leader per sciogliere i tanti nodi. Mentre Conte rinnova quello che ha reso un consueto appuntamento in tempi di pandemia, la conferenza stampa per illustrare il nuovo dpcm, il centrodestra occupa l’Aula della Camera: al presidente del Consiglio chiedono di andare a riferire in Parlamento sulle misure per il Natale, molto contestate anche dai governatori. Nel pomeriggio Matteo Salvini e Giorgia Meloni urlano “dimissioni” fuori da Palazzo Chigi, protestando sul decreto sicurezza.
Conte nel pomeriggio si presenta di persona alla riunione con i governatori per sedare gli animi sulle misure del nuovo dpcm, in particolare sul contestato blocco degli spostamenti. Rassicura sulle deroghe per i conviventi e per le persone non autosufficienti, ma tiene la linea dura per evitare la terza ondata. E prova a rimettere insieme i pezzi di una maggioranza che non solo si divide sul dpcm, ma che rompe anche ai tavoli sul programma di governo. Si litiga sulle tasse, come sulle riforme: sulle riforme, in particolare, il Pd vuole che siano rispettati gli impegni sui correttivi costituzionali e la legge elettorale da approvare dopo il taglio dei parlamentari, mentre Iv frena e chiede di varare prima un pacchetto più complessivo, dalla riforma del bicameralismo alla clausola di supremazia con le Regioni. E Conte? Si mostra sereno, dice che vedrà i leader all’esito del lavoro dei tavoli e auspica riforme coraggiose. Ma nei partiti della sua maggioranza la tensione è palpabile e nelle prossime ore dovrà per forza di cose essere sciolta dossier per dossier.
Il Governo stringe sul Recovery, fino 60 progetti per il Piano
Una struttura con meno di 100 tecnici, 6 manager e al più una sessantina di progetti, articolati nelle sei missioni principali del Piano di Ripresa e Resilienza: il Governo cerca di stringere sul piano per l’utilizzo dei 209 miliardi europei in arrivo col nuovo anno e punta a presentare una struttura di governance del Recovery più snella, anche per cerca di sedare le tensioni nella maggioranza. Certo, per sciogliere tutti i nodi e fare rientrare i mal di pancia che serpeggiano tra i Ministeri e in Parlamento, molto probabilmente servirà una nuova riunione con i capidelegazione, ma, sottolinea il premier Giuseppe Conte, si discute “sulla struttura più efficiente” che garantisca di “superare tutte le carenze strutturali”, non “se deve comandare Conte o Gualtieri”. Lo schema di massima, spiega chi si sta occupando del dossier, sarebbe pronto; ancora non è stato stabilito, però, dove si collocherà e quindi da chi dipenderà questa nuova struttura di missione per l’attuazione del piano. “Il testo è quasi pronto, lo vedrete a breve”, assicura il ministro dell’Economia, parlando di una struttura “agile ed efficace” e che “ci aiuti a mettere a terra le risorse e a valorizzare le nostre pubbliche amministrazioni”. Digitalizzazione e conversione green dell’economia saranno le due missioni che dreneranno più fondi, oltre la metà di qui al 2026, ma qualche dettaglio in più sulla ripartizione dei finanziamenti dovrebbe arrivare con l’aggiornamento del Piano. “Approveremo il Recovery plan e la struttura di governance, non tutti i singoli progetti, in un Consiglio dei ministri straordinario” tra domenica e lunedì, spiega ancora Conte. Il Piano sarà inviato al Parlamento che sarà “aggiornato continuamente sullo stato dell’arte”.
Duro botta e risposta tra Confindustria e Governo
A brevissimo ripartirà il confronto con le “forze economiche e sociali”, dice Gualtieri. Ma “non siamo in ritardo” puntualizza il premier, rispondendo alle aspre critiche di Confindustria e del suo presidente Carlo Bonomi: il Governo “è in ritardissimo” e non ha coinvolto i settori produttivi, è la lettura degli industriali, né “per fronteggiare gli impatti economici e sociali della pandemia” e tantomeno per affrontare “l’occasione storica del Recovery”; “Volevo un patto per l’Italia ma sono rimasto solo” attacca ancora Bonomi, dicendosi “fortemente arrabbiato perché non vedo nessuno che ha voglia di cogliere questa grande occasione”. Al leader degli industriali risponde anche Stefano Patuanelli, ricordando che l’Italia, forse tra i primi, ha già scritto dei progetti che saranno finanziati con i fondi Ue nella legge di Bilancio, a partire dal rafforzamento del Piano industria 4.0. In manovra ci si aspettava che sarebbe arrivata anche la proroga del superbonus al 110%, sfruttando sempre i finanziamenti Ue, ma la misura finora non c’è, tra le polemiche e le frizioni anche tra maggioranza e Governo. La proroga arriverà, assicura però il viceministro Antonio Misiani, anche se non potrà essere molto lunga. Il tema sarà senz’altro oggetto di trattativa nelle prossime settimane in cui la Camera sarà chiamata a votare gli emendamenti alla manovra: dei 7mila, circa 2,500 sono stati tagliati perché inammissibili e ne rimangono da esaminare circa 900 segnalati dai Gruppi.
Quattro eurodeputati dissidenti del M5S lasciano il gruppo per andare nei Verdi
Dall’Europa arriva un’altra grana per il M5S, che perde in un colpo solo ben quattro eurodeputati. Si tratta dei cosiddetti dissidenti, Ignazio Corrao, Piernicola Pedicini, Eleonora Evi e Rosa D’Amato, che annunciano il passaggio nelle file dei Verdi. L’addio era nell’aria da tempo, sono mesi infatti che la loro posizione si fa sempre più critica sulla gestione del Movimento, soprattutto dal flop alle europee 2019 e ancor di più da quando è stato varato il Governo giallorosso. Agli stati generali, il clima si è acceso, anche in considerazione della scelta di appoggiare l’Agenda 2020-2030 di Alessandro Di Battista, sposando le idee della cosiddetta ortodossia. Anche se il pasionario è tra i primi a condannare la scelta (“Mi dispiace, per me è un errore”) il dado, ormai, è tratto. E a far saltare il banco sarebbe stato il Mes. O meglio, il documento sottoscritto (in origine) da 42 deputati e 17 senatori Cinquestelle per sostenere il no alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, oltre a quello contro l’attivazione della linea di credito sanitaria da 37 miliardi. Il documento, che ha creato imbarazzo e rabbia nei vertici pentastellati, è stato di fatto depotenziato, aprendo una frattura interna, e i primi effetti si sono visti subito, con tanto di polemica: “L’aria dentro è irrespirabile da mesi e gli spazi di confronto interno del tutto azzerati”; oltretutto “avalliamo il nuovo Mes ma siamo contrari e con noi al governo non sarà mai attivato”, scrive Corrao nel post di commiato. Ancora più tranchant è Pedicini, che aggiunge un altro tassello al puzzle, rivelando di aver ricevuto “una nuova notifica di procedura sanzionatoria da parte dei probiviri”: “non sono il tipo che si fa cacciare, piuttosto vado via da solo”. Situazione fotocopia per D’Amato, mentre Evi lascia spiegando: “Non sono cambiata io. È il Movimento ad aver tradito le sue battaglie e la sua identità”. Le dimissioni dal gruppo, però, non coincidono con quelle dal ruolo di eurodeputati, e questo fa scattare il fuoco di fila chi nei Cinquestelle.
- Dpcm 3 dicembre 2020 (pdf)
- Allegati (pdf)
- Dpcm 3 dicembre 2020 (pdf testuale)
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