L’attività degli Informatori Scientifici del Farmaco (ISF) è regolamentata dal D.Lgs. 219/06 in attuazione della direttiva 2001/83/CE, dalle Linee Guida della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome in attuazione
Da tutto ciò si ricava che la reale natura dell’ISF è scientifica, egli è appunto informatore scientifico, come previsto appunto dalle leggi e dalle sentenze.
Proprio per questo quella dell’informatore, pur non avendo un Albo Professionale, è sicuramente la professione più regolamentata che esista in Italia.
Tutto chiaro dunque?
Assolutamente no! In mancanza di controlli ci sono aziende che “assumono” ISF con Contratto di Agenzia (vietato per gli ISF dalla stessa Enasarco) o comunque a Partita IVA come lavoratore autonomo “venditore”, anche se non può vendere e non vende alcunché.
Un contratto da lavoratore autonomo è diverso ovviamente da qualsiasi lavoro subordinato. Con un contratto da lavoro autonomo nessuno potrà mai obbligare a seguire orari, giorni e luoghi di lavoro, programmare itinerari, fare rapporto sui medici visitati, ecc. Il fenomeno delle false Partite IVA che nascondono, in realtà, dei veri rapporti di lavoro subordinato è diffusissimo.
Ciò è dovuto al fatto che nel mercato del lavoro continua ad esserci una profonda differenza di trattamento e di tutele tra i lavoratori subordinati, ai quali si applicano tutte le norme di protezione del lavoro e previdenziali e i diritti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, ed i lavoratori assunti con altre forme contrattuali i quali non possono avere accesso a tutta una serie di diritti fondamentali, come la disoccupazione, previdenza, e in caso di gravidanza, malattia e infortunio, pur non essendoci automaticamente l’estinzione del rapporto di lavoro, che potrebbe in teoria essere mantenuto, non hanno diritto al corrispettivo.
Chi sostiene che l’ISF è commerciale fa riferimento all’art. 113 del D.Lgs. 219/06 (attuazione della Direttiva Europea 2001/83, art. 86) che dice che “si intende per «pubblicità dei medicinali» qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di esortazione, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali”
Ci spiega come interpretare questa disposizione la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 22 dicembre 2022 nella causa C-530/20.
L’articolo 86, paragrafo 1, della direttiva 2001/83 (in Italia art. 113 del D.Lgs. 219/06) definisce la nozione di «pubblicità dei medicinali» come «qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali».
Occorre rilevare che tale disposizione fa sistematicamente riferimento ai «medicinali» al plurale in senso omnicomprensivo. Detta disposizione infatti definisce la nozione di «pubblicità dei medicinali» in modo molto ampio, come comprensiva di «qualsiasi» azione di informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, inclusa, in particolare, la «pubblicità dei medicinali presso il pubblico», che non sia espressamente esclusa dall’articolo 86, paragrafo 2, di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2011, MSD Sharp & Dohme, C‑316/09, EU:C:2011:275, punto 29).
Le finalità perseguite dalla direttiva 2001/83, dal considerando paragrafo 2, art. 86, di quest’ultima, risulta che essa ha come obiettivo essenziale quello di assicurare la tutela della sanità pubblica. Orbene, l’obiettivo essenziale di assicurare la tutela della sanità pubblica sarebbe in larga parte compromesso se l’articolo 86, paragrafo 1, della direttiva 2001/83 fosse interpretato nel senso che un’azione di informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali senza fare riferimento a un determinato medicinale non rientri nella nozione di «pubblicità dei medicinali», ai sensi di tale disposizione, e non sia, pertanto, soggetta ai divieti, alle condizioni e alle restrizioni previste da tale direttiva in materia di pubblicità.
La Corte di Giustizia Europea quindi esclude i farmaci da prescrizione medica dal dispositivo dell’art. 86, cioè vieta che siano oggetto di comunicazione commerciale, anzi fa distinzione fra pubblicità e informazione e proprio quest’ultima deve essere oggetto della comunicazione sui farmaci da prescrizione.
Detto di questi aspetti legali, tutto continuerà come prima: l’AIFA non controllerà, l’INPS non farà ispezioni e le aziende continueranno a trattare l’ISF come venditore. Salvo quando qualche ISF a provvigione, al momento di fine rapporto (licenziamento), farà ricorso al tribunale che gli riconoscerà che è una falsa partita IVA e costringerà l’azienda ad assumerlo come lavoratore dipendente a CCNL e costringerà pure l’azienda a pagargli gli stipendi arretrati non percepiti e a versare i contributi previdenziali non versati. Questi casi però sono pochi. Per un’azienda, anche se rischia queste sanzioni, avrà sempre convenienza perché potrà contare sui profitti attuati sui grandi numeri di ISF “irregolari” che non faranno obiezioni.
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