Recependo l’input di Davies, l’Accademia ha avviato un progetto per studiare, mediante un gruppo di lavoro dedicato, il modo in cui vengono utilizzate le evidenze provenienti da fonti differenti (es. studi clinici randomizzati e dati osservazionali) nel processo decisionale sulla sicurezza e l’efficacia dei farmaci e degli interventi medici. Il progetto utilizzerà le statine come principale caso di studio, ma prenderà in considerazione anche altri esempi tra cui le malattie infettive come Ebola e le forme rare di cancro.
“Un report di questo tipo – scrivono gli Autori – presenta due maggiori rischi. Il primo è un focus sulla “fiducia” o anche – nell’ipotesi peggiore – una falsa rassicurazione su problemi noti. Non crediamo che l’Accademia sceglierà questo percorso. Ma c’è un altro rischio più grande: l’Accademia potrebbe accettare i limiti delle evidenze come qualcosa di inevitabile. Su questo punto ci sono buoni motivi di preoccupazione. Concentrarsi esclusivamente sulle sperimentazioni esistenti e su studi osservazionali infatti – proseguono gli Autori – sarebbe una mancanza di visione e di ambizione in un’epoca in cui la medicina ha la necessità e l’opportunità di innovare. Esistono problemi noti che riguardano il finanziamento e le priorità della ricerca, la sperimentazione, l’omissione dei risultati, la comunicazione delle evidenze e le applicazioni concrete nella pratica clinica”.
Gli Autori esaminano poi brevemente sei domini in cui l’Accademia potrebbe realizzare miglioramenti concreti per rispondere alle legittime preoccupazioni della comunità medico-scientifica. Il primo dominio è rappresentato dai bias di pubblicazione. “Conduciamo studi clinici per rilevare differenze anche modeste e spendiamo ingenti somme di denaro specificamente per escludere bias, – scrivono gli Autori – ma permettiamo che tali bias ritornino con la pubblicazione selettiva. Questo problema può essere risolto con interventi concreti e non con rapporti scritti da eminenti organismi. Abbiamo bisogno di nuovi finanziamenti per un lavoro sistematico di audit che ci consenta di esaminare quali trial siano sotto-riportati, evidenziare i migliori e i peggiori e gettare luce sugli studi non pubblicati”.
“I trattamenti di solito vengono approvati a seguito di trial con outcome surrogati. I farmaci sono quindi promossi in modo estensivo, al momento dell’approvazione, quando le evidenze dei risultati nel mondo reale sono paradossalmente le più deboli – scrivono gli Autori – Potremmo incoraggiare evidenze migliori, ad esempio, obbligando le aziende a fare il follow-up di tutti i partecipanti agli studi clinici di fase III fino a quando emergono i benefici nel mondo reale, considerando la randomizzazione di routine per i farmaci di nuova approvazione quando i benefici non sono chiari, in cambio dell’estensione del brevetto o della scelta della data d’inizio per l’esclusiva di mercato”.
Goldacre e Heneghan affermano che sarebbe opportuno promuovere processi terapeutici decisionali condivisi e ben informati tra medico e paziente. Un altro input è quello di dichiarare sempre e in modo il più possibile chiaro e lineare i conflitti d’interesse, che “sono diventati particolarmente rilevanti quando le evidenze non sono chiare: quando le decisioni su quale trattamento funziona meglio vengono effettuate sulla base di un racconto speculativo e superficialmente plausibile sul meccanismo di azione di un farmaco o sull’interpretazione di dati osservazionali deboli e confusi, quando sono possibili studi clinici randomizzati. Se saremo in grado di generare evidenze migliori e garantirci l’osservazione delle evidenze complete, gli interessi in gioco – sebbene debbano essere sempre dichiarati – diventeranno meno importanti”.
“La medicina basata sulle evidenze, nella sua vera incarnazione moderna, ha una storia relativamente recente – scrivono gli Autori – e quando sono stati introdotti i primi studi randomizzati sono stati spesso considerati una sfida trasgressiva, costosa, inutile e sgradita all’autorità medica. I cittadini sono sempre più consapevoli delle carenze che collettivamente tolleriamo nella base delle evidenze per la pratica clinica. Ora abbiamo la possibilità di utilizzare la frustrazione pubblica come combustibile per aggiornare la nostra implementazione della medicina basata sulle evidenze alla luce delle nuove tecnologie e mettere ordine in casa nostra. Limitare la revisione di questi problemi all’interpretazione degli insufficienti dati esistenti, come l’Accademia propone sarebbe – concludono Goldacre e Heneghan – uno sconsiderato sguardo all’indietro”.