FARMACI: BENE DA REGOLARE

L’innovazione e gli standard di cura: due facce della stessa medaglia  La non inferiorità rispetto all’esistente non può bastare come requisito. Nuove registrazioni "ragionevolmente" sicure, ma servono più studi "post".

Tra le scoperte dell’ingegno umano che meglio descrivono, nell’immaginario collettivo, il concetto di "utilità" c’è proprio il farmaco: una sostanza in grado di curare o addirittura guarire dalle malattie che ci hanno già colpito, o che potrebbero colpire i nostri cari (a dispetto di quanto possiamo fare per prevenirle). Se il progressivo aumento dell’aspettativa di vita osservato nel secolo scorso è dovuto solo in parte all’arrivo dei farmaci (ma piuttosto alla migliore alimentazione e… all’acqua corrente), è anche vero che i farmaci hanno cambiato la storia naturale di tante malattie e migliorato la qualità della vita di milioni di persone. Senza dimenticare che molti farmaci rappresentano anche formidabili strumenti preventivi (vedi l’abbattimento della mortalità per malattie cardiovascolari osservato nell’ultimo decennio, dovuto per il 50% alla modifica degli stili di vita e per il 50% alla disponibilità di terapie mediche per la prevenzione secondaria). L’elenco dei cosiddetti "farmaci essenziali" dell’Oms è lungo assai: gli antibiotici, il cortisone, l’insulina, gli anestetici, i farmaci per il dolore grave, gli anti-ipertensivi, i farmaci per il morbo di Parkinson, alcuni anti-neoplastici. Fino ai farmaci antiretrovirali, che hanno improvvisamente modificato una malattia inesorabilmente mortale come l’Aids in una infezione cronica controllabile. Difficile immaginare quindi la salute senza i farmaci, che rappresentano l’avanzamento più grande della medicina clinica degli ultimi anni, insieme alla chirurgia dei trapianti e alla diagnostica per immagini. Insomma, quanti ricoveri evitati, quante disabilità e inabilità, e quanti giorni di vita produttiva recuperati. Senza dimenticare i vaccini, che sempre farmaci sono: il vaiolo è stato spazzato via dalla faccia della terra, la poliomielite quasi non c’è più, sono spariti difterite e tetano, i nostri bambini non si ammalano più di morbillo, e progressivamente diminuiranno epatiti, meningiti e polmoniti. Quindi, è indubbio che i farmaci rappresentano uno straordinario bene sociale. Ma in tempi di risorse limitate, se vogliamo che la spesa farmaceutica continui a essere considerata un investimento per la salute dei cittadini e non un costo che sottrae denaro ad altri interventi, occorre che ne siano definite alcune caratteristiche essenziali: Œ I farmaci devono essere efficaci, sicuri, utili, e usati bene. Tutti i farmaci registrati, cioè quelli che ottengono l’autorizzazione all’immissione in commercio (cosa che in Europa, sempre più spesso avviene a livello centralizzato, cioè all’Emea) sono da considerarsi ragionevolmente efficaci e sicuri perché hanno superato un "pacchetto base" di prove sperimentali. Ho scritto "ragionevolmente", perché questo pacchetto base non è sempre in grado di definire completamente il profilo di efficacia e sicurezza di un farmaco, soprattutto quando esso sarà impiegato su un numero elevato di pazienti (spesso diversi da quelli inclusi nella sperimentazione originale) e usato per tempi più lunghi degli usuali uno o due anni di sperimentazione di fase III. In altre parole, le sperimentazioni condotte dall’industria per registrare un farmaco non possono cogliere gli eventi avversi più rari (e qui l’importanza della rete di farmacovigilanza internazionale che permette di lavorare su denominatori significativi), e l’effettivo impatto terapeutico del nuovo farmaco rispetto alle terapie già esistenti. O

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