Per il giudice di merito la domanda del ricorrente andava rigettata perché i fatti addebitati allo stesso (comportamento ingiurioso o minaccioso durante il servizio, violazione di ogni norma di legge riguardante il deposito, la vendita o il trasporto di medicinali) non erano mai stati contestati, sostenendo invece che si trattava di mere reazioni all’atteggiamento complessivamente persecutorio adottato nei suoi confronti dall’azienda datrice.
L’uomo adiva quindi la Cassazione, adducendo che in ogni caso il clima di tensione causato non poteva giustificare l’impugnato licenziamento e che la misura espulsiva irrogata era sproporzionata, poiché “i giudici dell’appello non avrebbero considerato l’elemento essenziale e costitutivo della giusta causa di licenziamento costituito dalla proporzione tra i fatti contestati e la sanzione tenendo conto dell’elemento soggettivo della condotta e l’atteggiarsi complessivo del lavoratore”.
Ma per la Cassazione, la tesi non regge.
Analogamente non censurabile per costante giurisprudenza, ha affermato la S.C., è il giudizio di proporzionalità della sanzione, riservato al giudice del merito, se congruamente e logicamente motivato.
Tra l’altro la Corte d’appello nel caso in esame ha anche verificato la legittimità del licenziamento sulla base del Ccnl di categoria applicabile alla fattispecie e che espressamente prevede il licenziamento senza preavviso per i comportamenti contestati nel caso in esame. Per cui ricorso rigettato ed ex lavoratore condannato alle spese.
Cassazione, sentenza n. 17435/2015
Fonte: Cassazione: legittimo il licenziamento del lavoratore che crea “tensioni” in azienda
(www.StudioCataldi.it)