Il 52% dei medici europei che lasciano il paese d’origine sono nostri connazionali. C’è la quasi certezza che entro il prossimo decennio almeno un terzo dei residenti nella Penisola non potrà avvalersi del medico di famiglia. I fenomeni di carenze professionali già diffusi ma non ancora esplosi nella loro drammaticità, si manifesteranno appieno, allargando oltre misura la forbice tra pensionamenti e nuovi ingressi.
Medici in fuga: i numeri
Il boom dei ricoveri per il caldo e le ferie del personale nel periodo estivo hanno fatto scattare l’allarme nella sanità italiana, in particolare nel settore più penalizzato per la mancanza dei medici, quello del pronto soccorso. La sofferenza è particolarmente sentita al Centro Sud: in Molise, Sicilia, Campania, Calabria e
La situazione è così “calda” in Molise che il Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta ha, addirittura, ipotizzato l’invio di medici militari per far fronte alla carenza del personale.
Criticità che Il Rapporto Eurispes-Enpam “Il Termometro della Salute” aveva già indicato, tempo fa, con qualche preoccupazione.
Tra le tante contraddizioni e i punti critici, il Rapporto aveva evidenziato il tema del precariato e della insufficienza degli organici, del forte invecchiamento del personale sanitario che in alcune aree, ed in particolare nella medicina generale (medico di base e pediatra di libera scelta), rischia nel futuro prossimo di generare dei vuoti incolmabili. Secondo gli ultimi dati disponibili forniti dal Ministero della Salute, il comparto assorbiva 45.437 medici di medicina generale. Secondo la Federazione Italiana dei Medici di Famiglia circa 21.700 medici di base andranno in pensione entro il 2023, mentre il numero dei giovani medici “in ingresso” si prevede non superiore alle 6.000 unità. Questo significherà una carenza di 16.000 medici di base e la quasi certezza che entro il prossimo decennio almeno un terzo dei residenti nella Penisola non potrà avvalersi del medico di famiglia.
Confrontando la situazione italiana con quella dei maggiori partner europei, si evidenzia la forte specificità del nostro modello sanitario complessivo, caratterizzato da una alta quota di medicina specialistica e dal ruolo centrale di fatto affidato alle strutture ospedaliere. Mentre l’Italia per dotazione di medici in generale è seconda solo alla Germania, nell’area della medicina di base si colloca nella fascia bassa della classifica. La Germania, infatti, ne conta 167,4 ogni 100.000 abitanti (quasi il doppio, dunque), e la Francia si colloca a quota 155,5.
L’imbuto dei pronto soccorso
La medicina d’urgenza è un’area particolarmente delicata. Negli 844 presidi di medicina d’urgenza presenti sul territorio, si calcola ci siano mediamente 2.800 accessi ogni ora che generano annualmente circa 24.000.000 di visite. 3.500.000 pazienti “entrano” nei reparti ospedalieri proprio attraverso i pronto soccorso (Sistema Sanitario Nazionale).
I pronto soccorso sono presenti nell’81,6% degli ospedali, e quelli pediatrici nel 17,5%. La media di 3,4 accessi ogni 10 abitanti è il dato che evidenzia l’abnorme utilizzo che si fa dei presidi di medicina d’emergenza. Ancora più indicativa è la percentuale dei ricoveri ospedalieri che si realizzano attraverso i pronto soccorso: il 14,7%. Quest’ultimo indicatore si presenta altamente variabile a livello territoriale: a fronte di una percentuale di ricovero pari all’11% registrato nella regione Piemonte, si raggiungono valori pari a 26,7% nella regione Molise. I pronto soccorso pediatrici riscontrano 1,6 accessi ogni 10 abitanti fino a 18 anni di età, e nell’ 8,2% si risolvono con il ricovero.
L’impatto di questi ricoveri “da emergenza” aggrava la cronica carenza di posti letto in alcune regioni, impedendo una programmazione più accorta delle risorse degli ospedali.
Prima ancora dell’attesa per poter accedere in reparto (dalle 24 alle 72 ore), l’eccessivo ricorso ai pronto soccorso genera paradossali aree di criticità in relazione agli spazi e alle dotazioni.
I medici che migrano
I dati relativi alle migrazioni dei professionisti, registrano 10.104 medici “espatriati” nel periodo 2005-2015. La principale meta è la Gran Bretagna (33%), che da oltre un decennio si conferma al primo posto tra le preferenze dei neodottori in medicina che, ottenuta la qualifica in Italia, decidono o sono costretti a esercitarla, in via permanente o temporanea, all’estero. A seguire, la Svizzera (26%).
Fa riflettere il dato assai significativo, secondo cui nell’ultimo decennio, su 100 dottori in medicina europei che lasciano il paese d’origine, ben 52 sono nostri connazionali. Basti pensare che il secondo paese per maggiore numero di “transfughi” medici, ossia la Germania, si ferma solo al 19%. Il dato è tanto più allarmante guardando al futuro prossimo, ovvero da oggi al 2025, periodo per il quale si prospetta una forte quota di pensionamenti.
Si stima che verranno collocati a riposo 47.300 medici specialisti del SSN, a cui si aggiungono circa 8.200 tra medici universitari e specialisti ambulatoriali, mentre nello stesso periodo gli specialisti formati saranno solo 40.000. Se si confermerà il trend dei giovani medici che scelgono l’estero, il saldo risulterà fortemente passivo, e i fenomeni di carenze professionali già diffusi ma non ancora esplosi nella loro drammaticità, si manifesteranno appieno, allargando oltre misura la forbice tra pensionamenti e nuovi ingressi.
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