Oltre 1,5 milioni di addetti, vale il 6,5% del Prodotto interno lordo TRAINO PER L’ECONOMIA Su mille euro di produzione l’industria ne investe oltre 30 in ricerca contro una media del manifatturiero che sfiora appena i 6 euro
Robert Turn
ROME
C’è una stella di prima grandezza che pochi conoscono nel firmamento dell’economia italiana: è la filiera della salute, e ha numeri da vera star. Realizza il 6,5% dell’intera produzione nazionale e vanta un "prodotto per occupato" che supera del 6,4% la media nazionale. Con un milione e 513mila addetti è la quarta forza per occupazione. Ha un valore aggiunto a prezzi base che vale il 6,7% del totale nel Paese e un valore aggiunto a prezzi costanti che dal 2004 al 2006 è cresciuto del 6,4% contro la media italiana dell’1,9. Il valore aggiunto per addetto è del 10% sopra il dato medio nazionale. E se non bastasse, tra valore aggiunto diretto e indotto produce una ricchezza pari al 12,5% del totale Italia, contro l’11,1% del 2004. Una potenza in espansione e al top: è tra il terzo e il quarto posto nella graduatoria delle imprese.
La Sanità d’Italia la giudichiamo, a torto o a ragione, per i suoi servizi, quando ci sono, per i ritardi nelle prestazioni, per i suoi costi e per i deficit di un pugno di sei Regioni soprattutto, in questi giorni anche per la lottizzazione dei partiti. Ma, dietro il muro della diffidenza e prima dei disservizi, c’è una realtà produttiva vitale e di primaria importanza. Un universo in crescita che in altri Paesi, dove si investe senza sprechi, dà alti profitti e diventa un business da export. E, prima di tutto, crea salute. Dalla produzione al commercio di farmaci e dispositivi medici, dalla ricerca scientifica alle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali, dagli apparecchi ortopedici ai servizi termali, dai laboratori alle protesi dentarie. Una realtà spesso qualificata e hi tech, con professionalità ed eccellenze anche diffuse e di tutto rispetto.
È questa la "filiera della Salute" che emerge dal secondo rapporto (2004-2006) di Confindustria, curato dal professor Nicola Quirino, docente di finanza pubblica alla Luiss di Roma. Un universo, la filiera della salute italiana, che a dispetto del l’estrema povertà degli investimenti in ricerca, presenta un altro invidiabile primato: nel rapporto R&S-produzione ha il valore più elevato tra tutti i settori della nostra economia. Tanto che, si stima, su mille euro di produzione l’industria della salute spende (investe) per la ricerca oltre 30 euro. La media dell’industria manifatturiera sfiora appena i 6 euro.
Ma sempre in tema di raffronti, lo studio di Confindustria elenca altri primati, che poi spiegano quanto, e come, le imprese della salute rappresentino un potenziale volano di sviluppo per la nostra economia. Hanno più occupati dei trasporti e delle comunicazioni, di alberghi e ristoranti e dell’agricoltura, del l’industria metallurgica e di banche e assicurazioni, precedute soltanto da attività immobiliari e servizi alle imprese, commercio, costruzioni e istruzione. Occupati, per di più, che all’86% sono lavoratori dipendenti. Lo stesso valore aggiunto a prezzi costanti realizzato dalla filiera dal 2004 al 2006 è cresciuto del 4,5%, contro l’1,9% della media nazionale: nell’industria in senso stretto è aumentato dello 0,6%, nelle costruzioni del 2,4%, nel commercio del 4,4%, per credito e assicurazioni del 3,4% e negli altri servizi del 2,5.
Grandi numeri e un potenziale formidabile sviluppo per il futuro. Che però, è l’altra faccia della medaglia della ricerca, deve misurarsi con le condizioni strutturali e di sistema del nostro Servizio sanitario nazionale. In Italia si spende più per le prestazioni dirette (la spesa privata rallen