Saranno identificati “cluster” di medicinali con lo stesso effetto, coperti o meno da brevetto, e saranno valutati i sottogruppi di confezioni che consentono la stessa intensità di trattamento per una data patologia (o la dispensazione dello stesso valore di Defined daily dose); quindi, sarà fissato il prezzo massimo di rimborso al prezzo della confezione meno costosa. Il resto lo paga il cittadino. Per inciso, le Regioni vorrebbero inasprire ulteriormente questa disciplina e negli emendamenti all’intesa che si discuteranno il 23 aprile prossimo qualcuna chiede di non pagare nemmeno il prezzo del generico, per i farmaci che non scendono al prezzo più basso, e che si valuti di relegare quei medicinali in fascia C.
«Anche il semplice mettere a carico del paziente la differenza di costo in realtà potrebbe essere rilevante ed avere infinite conseguenze sull’aderenza e persistenza in
E questo già si presta a interrogativi perché ad esempio tra Ace-inibitori con analogo meccanismo d’azione ci sono principi con certi effetti e altri con effetti del tutto diversi e sono rarissimi anche a livello internazionale studi di efficacia e sicurezza “head to head”, che confrontino i diversi principi della stessa famiglia. Se allarghiamo a più famiglie l’ambito di scelta, magari rimborsando uno tra diuretici, Ace inibitori, beta e alfa bloccanti, sartani e calcioantagonisti, quasi nulla conosciamo dei criteri di confronto relativi ai profili di efficacia, sicurezza, farmacocinetica e farmacodinamica». Un salto nel buio? «È una strada difficile e per di più, a quanto pare, imboccata con le industrie ma non con i medici, i soli che conoscono l’efficacia clinica per singoli gruppi di pazienti, in base alla quale, arguisco, si vorrebbe rendere assimilabile un super-insieme di medicinali. Se si vuole risparmiare meglio sarebbe fare come in Francia dove il rimborso dei farmaci è commisurato al servizio medico reso (“Service médicale rendu“) che può essere “forte”, “medio” o “debole” a seconda del farmaco».
Mauro Miserendino – Sabato, 18 Aprile 2015 – Doctor33
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St
Non va bene ad esempio individuare, ai fini del rimborso massimo del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), gruppi di medicinali terapeuticamente assimilabili che addirittura possono comprendere contemporaneamente farmaci a brevetto scaduto e altri ancora sotto copertura brevettuale.
Un approccio che disconosce il valore della Ricerca e gli ingenti investimenti delle imprese.
Sorprende poi anche la possibilità di ridurre i prezzi dei medicinali biotech, già venduti su base d’asta, con forti sconti al SSN e penalizzati da alti costi di ripiano previsti da tetti di spesa palesemente inadeguati.
Trattare così le imprese farmaceutiche che con il loro impegno hanno fatto crescere export e occupazione fa male al Paese e alla sua economia.
Sanità, scontro aperto tra lo Stato e le Regioni. I governatori: “Il Patto per la salute è morto”
A rischio anche esenzioni da ticket per le patologie croniche
Tra il governo e le Regioni è in atto un vero e proprio scontro politico. La materia del contendere sono i tagli imposti dalla manovra di finanza pubblica al Fondo sanitario regionale. Entro poco tempo i presidenti delle Giunte dovranno decidere di tagliare la spesa sanitaria per un ammontare che sfiora i 2,5 miliardi di euro solo per l’anno in corso, avvertono che non sono in grado di subire altri tagli e mirano a rivedere il Patto per la salute nel suo complesso.
Il Fondo sanitario nazionale “non è un bancomat per le Regioni”, ha rimarcato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin dopo aver letto le lamentele provenienti dalla Conferenza Stato-Regioni. “Il sacrificio si può fare quest’anno – aggiunge – ma da subito andrà applicato il Patto per la salute. Dal prossimo anno – ha concluso – è necessario che le Regioni mantengano il patto di stabilità”.
“L’intesa con le Regioni è stata cercata, abbiamo fatto proposte che non vanno nell’ottica dei tagli lineari – ha detto ancora il ministro – e abbiamo detto no alla classica proposta facile del taglio della spesa farmaceutica, a quella dei device e della spesa convenzionata”. Considerando che le Regioni hanno chiesto di non utilizzare l’incremento di quest’anno, di due miliardi, “abbiamo chiesto invece di anticipare il Patto per la salute”. “Quindi – ha proseguito – gran parte di queste risorse verrà proprio dal Patto per la salute, ovvero da una razionalizzazione su forniture e servizi, come già previsto”.
L’invito che il ministro fa alle Regioni è quello di “seguire una via del rigore”. Le Regioni hanno risposto con durezza spiegando che considerano “morto” il Patto per la salute siglato nel 2014. Ora sono tante le voci di spesa esposte al pericolo del taglio lineare. Nel mirino di alcuni governatori ci sarebbero anche i fondi per il farmaco contro l’epatite C e i farmaci innovativi: una scelta capace di azzerare le speranze di decine di migliaia di pazienti. La stessa sorte potrebbe toccare alle esenzioni ticket. Molte delle venti Regioni vorrebbero eliminare diverse facilitazioni per patologia e prendere in considerazione solo il reddito dei pazienti. Resta quindi pressoché impossibile che si arrivi ad un aggiornamento e a un potenziamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Senza un aumento dei finanziamenti non ci potrà essere un miglioramento dei servizi erogati sul territorio.