Reggio Emilia. The Ausl: «Illicit drugs, you risk cancer»

Cuccurese, direttore del servizio veterinario, sull’inchiesta mantovana: «Possono finire negli alimenti». Operatori agricoli reggiani acquistano farmaci in nero da somministrare agli animali. Possono originare negli umani forme cancerogene o dar vita a pericolosi fenomeni di resistenza agli antibiotici

«Farmaci sbagliati utilizzati nell’allevamento animale, qualora entrino a far parte dell’alimentazione umana, possono originare forme cancerogene o dar vita a pericolosi fenomeni di resistenza agli antibiotici». È decisamente preoccupante l’analisi che il dottor Antonio Cuccurese, dirigente del Servizio veterinario dell’azienda Ausl, traccia a proposito degli effetti mutageni di alcune sostanze che potrebbero essere rinvenute nelle carni o nel latte dei bovini qualora gli allevatori non rispettassero correttamente tutte le regole e le cautele fissate dalla specifica normativa. La sua risposta si adatta in effetti in modo evidente alla maxi-inchiesta avviata tre anni fa da parte dal Nucleo investigativo di polizia ambientale del Corpo Forestale di Reggio, attualmente coordinata dal procuratore di Mantova, Antonio Condorelli. L’indagine ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di ben 201 allevatori di quattro province, settanta dei quali reggiani, con vari capi di imputazione. Oltre a Reggio e Mantova sono coinvolti operatori agricoli di Parma e Piacenza. I fatti contestati vanno dal maltrattamento degli animali alla somministrazione di farmaci scaduti o custoditi in modo irregolare per finire con la ricettazione. Acquistare farmaci “in nero” è in effetti più comodo e molto meno costoso.

La mancata fatturazione ne esclude la tracciabilità e rende impossibili i controlli che sono invece obbligatori per ogni capo destinato all’alimentazione umana.

«Evidentemente – conclude il dottor Cuccurese – se quanto contestato corrisponde al vero gli allevatori non si sono nemmeno resi conto dell’antieconomicità dell’operazione per l’elevato rischio di una difettosa riuscita del prodotto alimentare finale con la necessità di effettuare consistenti scarti. Se infatti la popolazione microbica di latte e carni non si sviluppa in modo positivo viene a mancare la maturazione dei nostri prodotti tipici quali formaggio Parmigiano Reggiano e prosciutti. È una pratica che va assolutamente abbandonata».

Gli allevatori reggiani attualmente indagati sono titolari di aziende agricole che vanno dalla via Emilia al Po e si collocano in particolare, oltre che nel Comune capoluogo, in quelli di Castelnovo Sotto, Novellara e Reggiolo.(l.v.)

04 Luglio 2014 – Gazzetta di Reggio

 

 

 

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