La risposta al problema delle contraffazioni, almeno da parte della Commissione europea, si affida prevalentemente alla tecnologia: nuovi sigilli infalsificabili, probabilmente olografici, sistemi di tracciamento dei lotti centralizzati, divieto di riconfezionamento e via di questo passo. Probabilmente potrebbe anche riprendere quota l’ipotesi di marcature complesse delle singole unità posologiche. Ma questo approccio non ha raccolto consensi unanimi. E’ vero che la maggioranza delle multinazionali è favorevole, ma anche qui vi sono significative eccezioni, per esempio Bristol Myers Squibb. Alla casa statunitense a non piacere è l’idea di centralizzare informazioni sulla logistica e gli stoccaggi, ritenute parte della strategia commerciale e, quindi, materia sensibile. Senza contare che tali informazioni, se acquisite da malintenzionati, potrebbero anche agevolare le attività fraudolente. BMS non dice a che punto della catena teme possano verificarsi queste fughe di dati, né chi potrebbero essere i ladri, ma sul rischio non ha dubbi. Ben più concrete le argomentazioni della EGA, l’associazione dei produttori di generici europei.
Per l’EGA è discutibile l’assunto di partenza e cioè che esistano contrassegni non falsificabili e sistemi di IT inespugnabili. I genericisti hanno buon gioco a ricordare che anche il famoso ologramma della Microsoft nel 2003 venne contraffatto. Insomma, affidarsi alla tecnologia ha un effetto positivo soltanto a breve termine, in quanto ben presto anche i contraffattori riescono a colmare il divario tecnologico e, inoltre, va considerato il falso senso di sicurezza che generato da queste. E intanto però salgono i costi per i produttori: non solo quelli per i nuovi sigilli, ma anche quelli, per esempio, per l’aggiornamento dei foglietti illustrativi, che dovrebbero essere corretti per comprendere tra le indicazioni sulla sicurezza anche quelle relative all’integrità del sigillo. In un settore molto sensibile al prezzo, come quello dei farmaci equivalenti, tutti gli aggravi, che inevitabilmente possono ricadere sull’utente finale o sul terzo pagante, fanno la differenza. Per l’EGA la risposta è armonizzare i controlli e far rispettare le leggi esistenti, e su questo sono tutti d’accordo.
Un altro aspetto che ha creato malumori è poi il divieto di riconfezionamento dei medicinali. Per la verità questa misura, oltre che dalla Commissione europea, era stata caldeggiata dalla stessa associazione europea dei produttori, l’EFPIA, ed è intuibile il perché: strumento principe dell’importazione parallela, che tesaurizza i differenziali di prezzo tra i diversi paesi dell’Unione, ha spesso causato qualche mal di testa alle maggiori aziende. Secondo l’EFPIA, proibire il riconfezionamento è l’arma principale della lotta alla contraffazione in Europa. L’associazione di categoria degli importatori, European Association of Euro-Pharmaceutical Companies (EAEPC) è ovviamente di avviso ben diverso, affiancata dalla Chamber of Small and Medium Enterprises (GRTU) di Malta. Al di là delle immancabili dichiarazioni sulla libertà di circolazione delle merci e sulla libertà in genere, l’EAEPC fa presente che semmai l’importazione parallela costituisce un un’ulteriore sicurezza, dal momento che gli importatori provvedono a controllare il medicinale prima di procedere al nuovo confezionamento, e sottolineano come in 35 anni sia stato accertato un solo caso di penetrazione del circuito distributivo parallelo da parte di un medicinale contraffatto. Che cosa dovrebbe fare allora la Commissione europea? Aumentare la sorveglianza ai confini dell’UE e affrontare con ben altra completezza il capitolo della farmacie virtuali. George Desillani
Fonte "PharmaMarketing"