Questa la tesi dell’Istituto in un focus pubblicato oggi in vista della prossima discussione in Cdm del ddl concorrenza. “Le argomentazioni poste a difesa della riserva della vendita dei farmaci di fascia C in capo alle farmacie paiono strumentali e volte esclusivamente a difendere un interesse corporativo, quello dei farmacisti”
17 febbraio 2015 – quotidianosanità.it
Proprio su quest’ultimo tema, ancor prima che il Governo desse il via all’iter parlamentare sul provvedimento, si è scatenata un’aspra polemica a proposito della possibile liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C con obbligo di prescrizione anche nelle parafarmacie e nei Corner GDO dei supermercati.
Il tema, a ben vedere, non è nuovo: dopo che l’allora Ministro dello sviluppo economico Pierluigi Bersani diede il via, nel 2006, alla liberalizzazione delle farmacie, nel 2011 il governo Mountains provò a estenderne gli effetti a tutti i farmaci di classe C, ma il Parlamento oppose una forte resistenza – anche sulla spinta dell’ondata di polemiche sorta a riguardo – e non se ne fece niente.
Uno scenario che si ripropone tale quale oggi: secondo i contrari alla liberalizzazione, infatti, questa metterebbe a repentaglio la sicurezza dei pazienti, determinerebbe un aumento della spesa farmaceutica e comporterebbe la probabile chiusura delle farmacie dei piccoli comuni (specialmente quelli rurali).
Queste ed altre preoccupazioni sarebbero state avallate, secondo un’opinione estremamente diffusa, da una sentenza della Corte Costituzionale, che avrebbe sottolineato come le regole che ordinano attualmente il servizio farmaceutico italiano siano a garanzia dei cittadini e dell’efficacia dell’assistenza.
Tuttavia le argomentazioni poste a difesa della riserva della vendita dei farmaci di fascia C in capo alle farmacie paiono strumentali e volte esclusivamente a difendere un interesse corporativo, quello dei farmacisti.
Il cittadino, infatti, non avrebbe nulla da temere acquistando un farmaco in una parafarmacia: quest’ultimo sarebbe ugualmente prescritto con ricetta medica e venduto da un farmacista abilitato, esattamente come accadrebbe se acquistasse lo stesso medicinale in farmacia.
Anche le modalità di conservazione del farmaco sarebbero del tutto analoghe. La rete di farmacie regolata da rigidi criteri di programmazione territoriale esistente tutt’oggi, a ben vedere, garantisce certamente l’indotto dei loro titolari; non, invece, i cittadini, alla cui domanda di salute corrisponde un’offerta resa deliberatamente contingentata e costosa.
La liberalizzazione, pertanto, costituirebbe un importante passo avanti nell’erosione dei corporativismi che attentano quotidianamente all’economia e all’innovazione del nostro tessuto produttivo e occupazionale; i timori paventati e i presunti endorsements ricevuti, al contrario, non fanno altro che difendere quei corporativismi.
L’auspicio, pertanto, è che il prossimo D.L. Concorrenza possa uscire indenne dai duri attacchi che lo aspettano e contenere, nella sua versione definitiva, una effettiva apertura dei canali di vendita per i farmaci non rimborsabili dal SSN.
James Lev Mannheimer
Fellow dell’Isituto Bruno Leoni