Hassan: nella farmaceutica le difficoltà rilanciano le concentrazioni «Una volta i titoli del comparto erano considerati difensivi: ora non più, specialmente per i player concentrati sugli etici»
by Stefano Carrer
L’industria farmaceutica va verso «il periodo più difficile della sua storia»: scoprire e introdurre nuovi prodotti è sempre più problematico, le pressioni al ribasso sui prezzi sono generalizzate e si moltiplicano le sfide alla «sacralità» e alla durata dei brevetti. Anche se non mancano fattori di sostegno – dall’invecchiamento della popolazione nei Paesi avanzati alla crescente domanda di salute delle classe medie in espansione nei Paesi emergenti – l’asprezza della situazione di mercato favorirà una ulteriore fase di consolidamento del settore, che riguarderà, più che le mega-fusioni, l’assorbimento di medie aziende da parte delle società più grandi.
È questa la visione di Fred Hassan, presidente dell’International Federation of Pharmaceutical Manufacturers & Associations (Ifpma) e numero uno del gruppo americano Schering-Plough. Nato in Pakistan 62 anni fa, studi a Londra e Harvard, considerato da molti il migliore top manager dell’industria delle pillole, Hassan è un veterano delle fusioni: ha accompagnato quella di Ahp con Cyanamid e pilotato quelle di Pharmacia & Upjohn con Monsanto e poi con Pfizer. Tanto da aver lasciato malumori dalle nostre parti, in quanto fu lui a porre fine al sogno di una società farmaceutica globale poggiante su tre pilastri, di cui uno in Italia: Hassan spostò infatti il focus aziendale di Pharmacia & Upjohn (erede tra l’altro della Farmitalia-Carlo Erba) dall’asse Svezia-Italia agli Usa.
Alla Schering-Plough è arrivato come Ceo nel 2003, in un momento di crisi – tagliando subito i bonus a tutti, anche il suo da due milioni di dollari – e ha varato un piano di rilancio sull’arco di 6-8 anni. Hassan ha appena dato una dimostrazione di quanto afferma, con la conquista dell’olandese Organon Biosciences per circa 11 miliardi di euro. Questa settimana ha scelto Roma per riunire i manager internazionali delle due società e avviare il processo di integrazione. Post-fusione, Hassan guida ora un gruppo da oltre 50mila dipendenti, di cui più di 1.200 in Italia, con due stabilimenti (uno vicino a Lodi e uno ad Aprilia), più un centro di ricerche al San Raffaele di Milano.
È finito il tempo delle megafusioni nella farmaceutica? Eppure di tanto in tanto le voci di mercato non mancano.
Non dico che non possano avvenirne ancora una o due, ma in Usa e Gran Bretagna sono già accadute, mentre è diventato più difficile convincere gli investitori che creino valore sostenibile nel tempo, al di là dei risparmi sui costi nell’immediato. Vedo più probabili acquisizioni di medie aziende, che rafforzino le più grandi.
Sul modello di quello che ha fatto lei con Organon, convincendo all’ultimo momento la casa madre Akzo Nobel a vendere la controllata anziché procedere a una Ipo…
Per noi è un’opportunità strategica di rilievo. Il punto è che non acquisiamo solo fatturato, ma ci rafforziamo nella ricerca e sviluppo, nella pipeline di prodotti, nella salute animale, nella presenza geografica e in nuove aree terapeutiche.
È la minore produttività della ricerca interna che costringe le grandi aziende ad acquisire pipeline, a diversificare e a tagliare i costi?
Con questa operazione uniamo due forze, non due debolezze. Ci saranno dei tagli al personale nei singoli Paesi, specie per evitare funzioni duplicate, ma l’ottica è quella della crescita. È un fatto che il contesto generale sia cambiato: il caso Vioxx (il farmaco della Merck di cui si sono scoper