di Ernesto Apa e Elisa Stefanini – Studio legale Portolano Cavallo
Filo Diritto – 15 novembre 201
I fatti oggetto del giudizio
DOC Generici S.r.l. (“DOC Generici“), società italiana che produce medicinali generici, aveva pubblicato sul proprio sito web e su alcune riviste settimanali: (i) l’elenco dei propri prodotti che includeva, per ciascuno di essi, l’indicazione del relativo principio attivo, della classe di rimborsabilità, del nome del corrispondente farmaco “originatore” e dell’assenza di eccipienti che possono causare allergie; e (ii) l’elenco dei prezzi estratti dalle liste di trasparenza pubblicate dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA). Queste informazioni sono state pubblicate senza l’autorizzazione preventiva del Ministero della Salute, sul presupposto che la loro diffusione non costituisse pubblicità.
Bayer S.p.A. (“Bayer“) aveva inviato diverse diffide a DOC Generici a proseguire tali attività contestando la violazione della disciplina sulla pubblicità dei medicinali, la violazione dei propri diritti sui marchi con i quali venivano identificati i prodotti “originatori”, oltre alla condotta di concorrenza sleale per appropriazione di pregi. DOC Generici si è quindi rivolta al Tribunale di Milano affinché dichiarasse che le attività di comunicazione dalla stessa effettuate non costituivano una violazione delle norme sulla pubblicità dei medicinali, in quanto non potevano essere qualificate come “pubblicità”.
La questione posta all’attenzione del Tribunale
Infatti, il Codice del farmaco (decreto legislativo n. 219/2006) sottopone a rigide limitazioni la pubblicità dei medicinali, definita come “qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di esortazione, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali” (art. 113). Al contrario, non rientrano nel campo di applicazione delle norme sulla pubblicità e dunque sfuggono dalle relative limitazioni: “l’etichettatura e il foglio illustrativo" And "le informazioni concrete e i documenti di riferimento riguardanti, ad esempio, i cambiamenti degli imballaggi […] i cataloghi di vendita e gli elenchi dei prezzi, purché non vi figurino informazioni sul medicinale”.
Pertanto, capire se l’attività svolta da DOC Generici rientri o meno nella definizione di pubblicità è essenziale per determinare se ad essa sia applicabile tutta la normativa in materia di pubblicità dei prodotti medicinali.
Per effettuare tale valutazione, il Tribunale di Milano richiama una sentenza della Corte di giustizia del 5 maggio 2011 (C-316/09, MSD Sharp & Dohme GmbH c. Merckle GmbH), in cui la Corte aveva identificato i seguenti principali indici di una comunicazione a carattere meramente informativo (e quindi non pubblicitario):
- informazioni limitate alla riproduzione fedele della confezione e del foglietto informativo o RCP: se “la diffusione di informazioni […] sul sito Internet del produttore consiste esclusivamente in una riproduzione fedele della confezione del medicinale … e in una riproduzione letterale ed integrale del foglietto illustrativo o del riassunto delle caratteristiche del prodotto approvati dalle autorità competenti” without“alcun elemento ulteriore a supporto della sua qualifica come pubblicità” non si può ritenere che tale comunicazione sia qualificabile come pubblicità vietata;
- assenza di qualsiasi selezione/manipolazione delle informazioni: se “le informazioni relative al medicinale sono oggetto di una selezione o di un rimaneggiamento da parte del produttore, poiché tali manipolazioni delle informazioni possono spiegarsi solo con uno scopo pubblicitario”, il messaggio acquisisce un carattere pubblicitario; e
- informazioni disponibili con sistema “pull”: se le informazioni sono disponibili sul sito del produttore“secondo il sistema dei servizi chiamati «pull», per cui la loro consultazione richiede un’azione attiva di ricerca da parte dell’utente di Internet e la persona non interessata al medicinale di cui trattasi non sarà costretta a prenderne visione”, non vi è quella “forte presunzione di carattere pubblicitario” che invece sussiste in caso di “servizi detti «push», in cui l’utente di Internet si trova di fronte, senza avere fatto alcuna ricerca, a tali informazioni attraverso finestre indesiderate, dette «pop-up», che appaiono spontaneamente sullo schermo”.
Il Tribunale di Milano ha ritenuto nel caso in esame che, seppure le pubblicazioni non includessero alcun messaggio promozionale, DOC Generici: (i) aveva selezionato le informazioni da pubblicare, in quanto parzialmente riprese da più liste di trasparenza; e (ii) aveva manipolato queste informazioni poiché aveva aggiunto criteri di classificazione dei prodotti non contenuti nella lista di trasparenza e aveva aggiunto ulteriori informazioni sugli eccipienti che non erano incluse nei documenti pubblicati dall’AIFA. Inoltre, le informazioni erano state diffuse con tecniche (non specificate dal Tribunale) che non richiedevano alcuna ricerca da parte dell’utente di internet né del lettore della rivista.
Per questi motivi, applicando gli stessi criteri utilizzati dalla Corte di giustizia nel 2011, il Tribunale di Milano ha concluso che le attività di comunicazione condotte da DOC Generici dovessero essere qualificate come pubblicità.
Inoltre, la Corte ha respinto le due argomentazioni della DOC Generici in base alle quali: (i) la diffusione di tali informazioni è giustificata dall’interesse pubblico di promuovere l’uso di medicinali generici in Italia; e che (ii) i cataloghi e l’elenco dei prezzi non rientrano nel campo di applicazione della normativa pubblicitaria. Quanto al primo argomento, il Tribunale ha affermato che la finalità di promuovere i medicinali generici non può essere perseguita da un’unica società con esclusivo riferimento ai propri prodotti, ma deve essere perseguita, in via generale, dalle autorità competenti e dagli operatori sanitari. Per quanto riguarda il secondo argomento, il Tribunale ha escluso l’applicabilità di tali esenzioni poiché “si riferisce chiaramente al rapporto tra le società farmaceutiche e gli operatori sanitari … e non al pubblico generale dei consumatori“.
Dopo aver qualificato tali comunicazioni come pubblicità, il Tribunale ha quindi accertato che esse non erano state eseguite conformemente alla normativa sulla pubblicità dei medicinali e ha dichiarato che la violazione di tali norme integra una condotta di concorrenza sleale. Di conseguenza, il Tribunale ha inibito a DOC Generici di proseguire tale attività.
Alcune indicazioni che si possono trarre dalla sentenza
Se tale affermazione di principio è importante, si evidenzia tuttavia che il Tribunale di Milano ne ha fornito un’interpretazione molto restrittiva. Infatti, in questo caso, il giudice ha ritenuto che la limitatissima attività di modifica e selezione effettuata da DOC Generici sia comunque sufficiente a conferire al messaggio un carattere pubblicitario. Questo approccio suggerisce molta cautela nella scelta dei mezzi più idonei a fornire un’informativa sui prodotti farmaceutici che si sottragga al rischio di essere qualificata come pubblicità.
In secondo luogo, si osserva come sia abbastanza inusuale che una sentenza in materia di pubblicità dei medicinali venga pronunciata da tribunali civili. Infatti, poiché la pubblicità dei medicinali non soggetti a prescrizione richiede la previa autorizzazione del Ministero, lo scenario più frequente è che la società interessata impugni dinanzi al giudice amministrativo un eventuale diniego di autorizzazione. Al contrario, è più rara nel settore farmaceutico l’ipotesi in cui, come in questo caso, una società citi un concorrente di fronte al tribunale civile per concorrenza sleale realizzata attraverso un’illecita attività pubblicitaria. Pertanto, questa pronuncia ci offre un’interessante spunto anche dal punto di vista dei rimedi che le società potrebbero utilizzare per proteggere i propri interessi da qualsiasi attività di promozione di prodotti farmaceutici effettuata dai loro concorrenti e ritenuta illegittima.
Redatto il 7 novembre 2017
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