Louisville – L’ infermiere prescrittore Bob Hobbs, è arrivato a pochi giorni dal chiudere il suo ambulatorio, perché il medico che gli aveva dato il permesso di prescrivere stava lasciando lo Stato e non riusciva a trovare un altro abbastanza rapidamente. Ma una legge del Kentucky appena promulgata assicura che non accadrà di nuovo. La misura dà agli infermieri il diritto di prescrivere farmaci comuni, come ad esempio farmaci per la pressione sanguigna e diabete, senza avere un accordo con un medico. Leggi che concedono maggiore indipendenza agli infermieri sono state promulgate quest’anno nel Connecticut, New York e Minnesota, e il Department of Veterans Affairs sta valutando una legge simile. “E ‘fantastico. E’ stato un lungo cammino”, ha detto Hobbs, che gestisce il suo studio a Louisville. “Un accordo col medico, nasconde sempre un rischio: se cambiano Stato, o Hanno un incidente d’auto cosa fai?”
from: http://www.courier-journal.com/
E in Italia qualcuno non vuole neanche le “Competenze Specialistiche”… The Daily Nurse
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Ed.: A corollario e completamento dell’articolo pubblicato sopra, riportiamo per maggior conoscenza i due sottostanti contributi al dibattito:
Interazioni tra non medici e industria
24 febbraio 2014 News2014 Amministratore No Grazie
Una recente revisione sistematica analizza il tipo e le implicazioni delle interazioni tra professionisti non-medici e industria nella pratica clinica.(1)
Sono stati esclusi gli studenti. L’esposizione dei professionisti all’industria è stata definita come partecipazione a incontri con i rappresentanti dell’industria, ricezione di regali, pagamenti o materiali promozionali inclusi campioni gratuiti o partecipazione a eventi formativi sponsorizzati. Dei 43 articoli iniziali, sono stati inclusi nella revisione 16 articoli, derivanti da 15 studi condotti in 4 diversi Paesi, prevalentemente USA (11), UK (2), Nuova Zelanda (1), Togo e Burkina Faso (1). Circa la metà sono stati pubblicati negli ultimi 5 anni. Nella maggior parte dei casi si tratta di studi trasversali (11), 3 sono studi non sperimentali o longitudinali, e 3 sono qualitativi, condotti con focus group o interviste semistrutturate.
La natura e frequenza delle interazioni con l’industria farmaceutica o le ditte produttrici di sostituti del latte materno è stata misurata attraverso l’auto rilevazione, tranne in 2 casi nei quali è stata utilizzata l’osservazione diretta. I professionisti hanno incontri regolari con i rappresentanti dell’industria farmaceutica e solo una minoranza ha eliminato tali incontri dalla propria pratica. Nel 2010, il 96% di un campione rappresentativo di professionisti non-medici con competenza prescrittiva (infermieri e ostetriche) negli Stati Uniti ha dichiarato di avere contatti regolari con i rappresentanti, la cui frequenza non è stata però precisata. In altri studi, la frequenza variava dal contatto regolare con frequenza settimanale al contatto occasionale. Il tipo di interazioni variava dagli incontri non richiesti, “di corridoio”, ai meeting strutturati. I canali comunicativi per raggiungere i prescrittori medici e non-medici nel 2009
I regali riguardavano soprattutto oggetti, cibo o bevande, inclusi pranzi e cene ad eventi sponsorizzati. In alcuni casi, i prescrittori hanno dichiarato di aver avuto suggestione di qualche forma di compenso (cibo o regali) in cambio della prescrizione del proprio prodotto. Com’è intuibile, i professionisti meno
Le interazioni “formative” con l’industria sono una delle forme più comuni di interazione tra i clinici non-medici e l’industria; rispettivamente il 96% e il 100% dichiara la propria partecipazione ad eventi sponsorizzati o la ricezione di materiale formativo. L’industria ha compensato alla carenza di risorse, offrendo finanziamenti per la partecipazione a eventi e informazione specifica per la pratica clinica non medica o specifiche tipologie di pazienti. Una proporzione importante di informazione proposta dall’industria farmaceutica e destinata ai pazienti viene distribuita attraverso i professionisti. In Scozia, nei servizi territoriali con team multi professionali solo una piccola proporzione aveva ricevuto fondi per partecipare a convegni, ma il 21% aveva ricevuto informazione sponsorizzata su prodotti, allattamento e altri argomenti relativi alla genitorialità; 1/3 delle strutture aveva materiali sponsorizzati non rispondenti al Codice Internazionale visibili nelle aree destinate all’assistenza. Anche nello studio condotto in Africa Occidentale, il 16% delle strutture esponeva materiali “educativi” sponsorizzati, nessuno dei quali era in linea con il Codice.
L’accettabilità dell’interazione con l’industria dal punto di vista etico è stata analizzata in 3 studi. La percezione dell’eticità dell’interazione con l’industria si differenzia dall’atteggiamento verso tale interazione. I ricercatori hanno infatti riscontrato che, nonostante i clinici possano avere un atteggiamento positivo nei confronti dell’interazione con l’industria, possono considerarla non etica pur continuando a intrattenere questo tipo di relazione. In generale, i professionisti non medici percepivano come etica e accettabile la partecipazione a eventi sponsorizzati, in particolare se erano di formazione. Nonostante una proporzione di disaccordo, la maggioranza di due campioni randomizzati di prescrittori non medici negli USA riteneva che la pratica di offrire regali fosse etica e accettabile. In alcuni casi, i professionisti ritenevano che si dovessero porre delle condizioni esplicite, come ad esempio un limite di valore. In alcuni casi, il regalo diretto è percepito come meno accettabile rispetto alla sponsorizzazione di eventi o alla partecipazione a corsi. Dall’analisi delle risposte alle domande aperte, emerge come il ricorso al finanziamento dell’industria sia a volte l’unica risposta possibile alla significativa carenza di risorse; emerge anche una visione prevalente secondo cui, siccome i medici frequentano eventi sponsorizzati, ricevono finanziamenti e accettano regali, sia appropriato farlo anche per i professionisti sanitari non medici.
L’influenza dell’interazione con l’industria nella pratica clinica è percepita solo da una minoranza di professionisti, anche quando viene riconosciuto che gli studi dimostrano il contrario. Mentre l’interazione con l’industria non viene percepita come un fattore che possa influenzare la propria pratica clinica, una larga percentuale ritiene che i colleghi non-medici, e in particolare i medici, possano invece esserne influenzati. In risposta a uno studio di caso su ipertensione e depressione, i professionisti impegnati nelle cure primarie, medici e non medici, che non disponevano di campioni gratuiti erano più inclini a seguire le linee guida cliniche evidence-based o a prescrivere l’equivalente generico.
I commenti degli autori della revisione
Dalla revisione emerge un quadro di clinici non-medici, infermieri, ostetriche, farmacisti, dietisti, che sono esposti con frequenza all’interazione con l’industria e in diversi modi, sia per quanto riguarda i farmaci sia per i sostituti del latte materno. È interessante notare che, nonostante la consapevolezza dei potenziali bias e conflitti d’interessi, la visione comune è che l’industria sia un “male necessario”. L’interesse delle industrie farmaceutiche per i
In conclusione, gli autori sottolineano che, nonostante alcuni aspetti dell’interazione tra i clinici e l’industria possano essere utili, la normalizzazione di tali interazioni nei setting clinici crea i presupposti per rischi importanti per i pazienti e per il sistema sanitario. Non è pensabile che il singolo clinico debba gestire da solo le interazioni, in modo etico e individuando possibili bias. Gli studi di scienze sociali dimostrano che il self-serving bias (bias di autocompiacimento), come altri bias inconsci, rendono difficile per il professionista riconoscere l’effetto che l’esposizione alle interazione può avere sulle proprie azioni. Inoltre, anche i professionisti che evitano le interazioni con l’industria possono essere inconsapevoli della propria esposizione e dei suoi effetti sulla pratica ed essere soggetti alla pressione delle norme sociali.
Come sottolineato anche dagli autori, la ricerca è carente su altri ambiti come l’uso dei dispositivi medici. A questo, aggiungiamo l’area della promozione di integratori e altri prodotti cosiddetti “naturali” che, non essendo soggetti alla stessa azione regolatoria dei farmaci, sono spesso veicolati dall’industria attraverso i professionisti sanitari non-medici (ostetriche, infermieri, farmacisti) nei servizi sanitari. L’editoriale di Yeh e Kesselhheim fa delle riflessioni in parte applicabili al contesto italiano.(2)
Una prima considerazione riguarda gli effetti che l’interazione con l’industria, la sponsorizzazione degli eventi formativi e l’offerta di regali e campioni gratuiti hanno sulla pratica dei professionisti. Esiste ormai un effetto documentato sulle conoscenze e sul comportamento prescrittivo dei medici ed è prevedibile che lo stesso effetto si abbia sui professionisti sanitari non medici, che sono recentemente diventati oggetto delle attenzioni dell’industria per il loro ruolo-chiave nella relazione diretta con l’utenza.
Un secondo aspetto riguarda le forme dell’interazione. Mentre le forme “tradizionali” di interazione diretta tra l’industria e i professionisti sono sempre più regolamentate, esistono altre forme indirette, più difficilmente individuabili. A titolo di esempio, la formazione ECM in Italia proibisce il ricorso a finanziamenti che provengano direttamente da aziende produttrici di sostituti del latte materno, ma non c’è modo di sapere se un’azienda abbia ricorso alla triangolazione attraverso un attore esterno per sostenere finanziariamente un evento. Sappiamo, aneddoticamente, che esistono aziende e provider ECM che propongono attivamente le sponsorizzazioni, sia per eventi sia per la partecipazione dei singoli professionisti. La formazione ECM ha raggiunto costi di accreditamento che rendono sempre più difficile l’offerta gratuita, pubblica e indipendente di formazione. Basti pensare che l’accreditamento di un corso multi professionale di 40 ore ad alta interazione può avere costi che vanno dai 1000 ai 2000 euro, tra spese di provider (se l’azienda pubblica non lo è) e accreditamento tramite l’Agenas. Per rispondere al bisogno emergente di finanziamenti per la formazione evitando l’interazione diretta con le aziende pubbliche, società scientifiche, ordini, collegi e associazioni professionali, l’industria ricorre spesso a enti terzi. Questo fenomeno di triangolazione si applica anche ad altri ambiti che, pur non essendo di pertinenza “sanitaria”, hanno effetti sulla salute pubblica. Capita di imbattersi in pubblicità di “compro oro” esposte negli ospedali e gigantografie di alcolici davanti alle facciate di chiese in ristrutturazione (prontamente sostituite da pubblicità di orologi dopo la protesta dei cittadini). Anche le istituzioni più attente a volte, affidandosi a provider esterni, perdono il controllo sulle sponsorizzazioni che verranno accettate. È capitato di trovare pubblicità di note aziende produttrici di biberon e tettarelle in congressi dichiarati “in osservanza del Codice Internazionale”.
Un ultimo aspetto riguarda l’oggetto dell’interazione con l’industria. I professionisti non medici sono un target d’interesse per le aziende produttrici di materiale di vario tipo. Nel caso delle ostetriche, che si occupano della salute della donna in tutto l’arco della vita, i prodotti più frequentemente veicolati, attraverso campioni gratuiti, materiale informativo/pubblicitario e partecipazione a eventi, sono prodotti igienici per la donna e per la prima infanzia, integratori per la gravidanza, per l’allattamento e per la menopausa e galattagoghi, sui quali non esiste lo stesso rigore regolatorio dei farmaci e dei sostituti del latte materno.
Due sono, a nostro avviso, i fronti su cui è necessario intraprendere azioni urgenti: il primo è quello della formazione obbligatoria nell’ambito dell’ECM, che dovrebbe essere tutelata e garantita nella sua forma pubblica e indipendente per tutte le professioni sanitarie, mediche e non mediche. La seconda è l’azione diretta degli Ordini e Collegi professionali, delle Associazioni di categoria e delle Società scientifiche, che dovrebbero impegnarsi esplicitamente nell’adozione di politiche trasparenti rispetto alle sponsorizzazioni, a qualsiasi livello e, in particolare, per gli eventi formativi diretti ai propri iscritti. In questa direzione si stanno muovendo diverse istituzioni ostetriche, come il Collegio Provinciale delle Ostetriche di Roma, che nell’ottobre del 2012 ha deliberato che “per l’organizzazione di eventi formativi/culturali, non accetterà né utilizzerà contributi di alcun genere da sponsor che non rispettino il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno e le successive pertinenti risoluzioni dell’Assemblea Mondiale della Sanità”. Anche la Federazione Nazionale dei Collegi delle Ostetriche nel maggio del 2013 ha approvato le Linee guida per la concessione di patrocinio, secondo cui “non verranno concessi patrocini che avallino, in qualche modo, pubblicità per istituzioni e prodotti sanitari e commerciali di esclusivo interesse promozionale e che siano in contrasto con il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno (OMS/UNICEF)”. Anche l’Associazione Culturale Pediatri ha eliminato “qualsiasi tipologia di legame di sponsorizzazione delle proprie attività con l’industria per l’organizzazione di congressi, dei corsi di formazione e per qualsiasi tipo di intervento in ambito socio-sanitario”. Si tratta di esempi di buone pratiche di cui siamo a conoscenza. Sarebbe interessante approfondire l’analisi e verificare quali siano oggi, in Italia, le forme di regolamentazione dell’interazione tra industria e professionisti sanitari messe in atto dagli enti professionali, quale ne sia l’applicazione e la percezione dei professionisti e dei cittadini.
1. Grundy Q, Bero L, Malone R. Interactions between non-physician clinicians and industry: a systematic review.http://www.plosmedicine.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed.1001561
2. Yeh JS, Kesselheim AS. Same song, different audience: pharmaceutical promotion targeting non-physician health care providers.http://www.plosmedicine.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed.1001560
See also:
DICIAMO SI AL FARMACISTA PRESCRITTORE IN ITALIA
L’informazione sui farmaci prodotta dalle ditte potrebbe essere estesa anche ai cittadini: una minaccia per la saluta pubblica |
Secondo l’associazione che raggruppa le riviste indipendenti, l’International Society of Drug Bulletins (ISDB), l’industria farmaceutica non può essere una fonte di informazioni affidabile e sicura: pensare che questa possa essere vera informazione è ingenuo e confondere propaganda con informazione un errore. Al contrario, sarebbe invece necessario limitare l’influenza dell’industria sia sui pazienti che sui medici, migliorando l’utilizzo dei farmaci con informazioni attendibili, indipendenti e comparative in modo da mettere i pazienti, e i cittadini in generale, nelle condizioni di fare scelte consapevoli3. Solo due paesi al mondo permettono che si possa fare pubblicità diretta ai cittadini per i farmaci da prescrizione: gli Stati Uniti e la Nuova Zelanda. In entrambi i paesi, è stato dimostrato che questo tipo di informazione – che altro non è se non pubblicità – anziché migliorare lo stato di salute, lo peggiora. La strategia è collaudata: i messaggi delle ditte si concentrano su pochi farmaci molto prescritti, ne esaltano i benefici e nascondono i rischi, ottenendo come risultato di confondere i pazienti che finiscono col sollecitare i medici a prescrivere Solo 5 anni fa il tentativo di introdurre nell’Unione Europea la pubblicità diretta ai consumatori non ha superato il vaglio del voto parlamentare: la stragrande maggioranza dei parlamentari (494 contro e solo 42 a favore) ha bocciato la proposta di legge. Tuttavia, gli attuali parlamentari sono in gran parte di nomina recente e conoscono ben poco, se non nulla, del dibattito che vi è stato in passato4. In questo nuovo tentativo di introdurre nell’Unione Europea la pubblicità diretta ai cittadini si cerca di mistificare l’iniziativa come un modo “per migliorare la qualità dell’informazione disponibile per i cittadini”. Dietro questa manovra vi è la regia del Pharmaceutical Forum. Perché mai ci si dovrebbe sedere allo stesso tavolo dell’industria per sviluppare una informazione diretta ai pazienti? I professionisti che operano nel campo della salute, i consumatori e le associazioni indipendenti dei pazienti, le autorità sanitarie non hanno certo avuto bisogno dell’industria farmaceutica per creare canali informativi indirizzati ai pazienti. In Europa, così come in molti altri paesi extraeuropei, oggi sono disponibili per il pubblico qualificate fonti di informazione3. Le ditte produttrici confidano molto sul fatto che verrà loro concesso, in un prossimo futuro, di pubblicizzare i loro farmaci direttamente ai cittadini (o se questo non sarà possibile, altre forme di comunicazione che comunque “scavalchino” il medico): le varie agenzie di marketing stanno già organizzando seminari su come utilizzare al meglio questa nuova opportunità commerciale come fiorente fonte di guadagno. Questa intraprendenza delle ditte dovrebbe orientarsi più utilmente verso quanto stanno già facendo e che potrebbe essere fatto meglio, a partire dalla redazione di schede tecniche adeguate e di foglietti illustrativi dedicati espressamente al paziente. La strada intrapresa dalla Commissione Europea e dal Pharmaceutical Forum va nella direzione sbagliata. Porterà inevitabilmente ad un uso ancora più indiscriminato dei farmaci, aumentandone il consumo complessivo, avrà un impatto negativo sulla salute (più effetti indesiderati, più errori medici) e il tutto si tradurrà in un aumento dei costi. Il mercato della salute non è un mercato come tutti gli altri e i pazienti non sono consumatori. La soluzione esiste ed è più semplice di quanto si possa pensare: definendo criteri di registrazione dei farmaci che tengano conto della loro reale capacità di segnare un progresso rispetto a quelli già presenti sul mercato. Questo stimolerebbe la competitività tra le industrie farmaceutiche: sarebbe in questo caso il “mercato” a premiare i farmaci migliori, quelli che offrono un reale vantaggio terapeutico, come definito nella Dichiarazione dell’ISDB sull’innovazione terapeutica5. Rispetto alla quasi totalità delle attuali pseudo-novità e di farmaci me too (copie dei precedenti), questi farmaci non avrebbero bisogno di grandi sforzi promozionali, avendo nella loro stessa capacità di rispondere ai problemi di salute insoluti la forza per prevalere sugli altri.Bibliography 1. Pharmaceutical Forum “Public consultation on Health-related information to patients: the diabetes information package, and the quality principles” (available on: ec.europa.eu/enterprise/phabiocom/). 2. European Commission “Draft report on current practice with regard to provision of information to patients on medicinal products, in accordance with article 88a of Directive 2001/83/EC, as amended by Directive 2004/27/EC on the community code relating to medicinal products. 3. Joint declaration by HAI Europe, the ISDB, BEUC, the AIM and the Medicines in Europe Forum “Relevant information for empowered citizens” 3 October 2006: 9 pages. Website: www.isdbweb.org accessed 30 April 2007: 8 pages. 4. To learn more about this “historical background” read the text “BigPharma’s health information: a growing danger in Europe” In Joint position of the Medicines in Europe Forum, the International Society of Drug Bulletins, Health Action International Europe “Health information: A clear division of roles is needed to protect public health” March 2007. Website: www.isdbweb.org : 2 pages. 5. ISDB Declaration on therapeutic advance in the use of medicines; Paris 15-16 November 2001. Website: www.isdbweb.org : 12 pages.Informazioni sui Farmaci, Anno 2007, n. 1 |