Un pubblico dipendente ha intentato un giudizio nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro per chiedere che venisse accertata l’illegittimità del trattamento di alcuni suoi dati sanitari. Il Tribunale accertava che il trattamento dei dati sensibili non era in realtà stato conforme alle previsioni del decreto legislativo in materia in quanto gli stessi potevano essere appunto “trattati” solo in presenza di autorizzazione da parte del Garante per la protezione dei dati personali, nella specie non richiesta. Il Tribunale, però, respingeva la domanda risarcitoria, sul rilievo che la ricorrente non aveva fornito alcuna prova sul punto. La Suprema Corte ha confermato l’esclusione del risarcimento del danno ribadendo un profilo già tracciato in tema di lesione del diritto alla riservatezza, osservando che tale lesione determina un illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., al quale, tuttavia, non consegue un’automatica risarcibilità, dovendo il pregiudizio morale o patrimoniale essere comunque provato secondo le regole ordinarie, quale ne sia l’entità ed a prescindere anche dalla difficoltà della relativa prova. Non potrebbe giungersi a diversa conclusione, ha aggiunto la Corte, neppure se si identificasse il danno in questione in termini di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti, poiché la giurisprudenza, nell’ammettere la risarcibilità della lesione di siffatti diritti e nel tracciarne rigorosamente i confini, ha contestualmente riconosciuto che l’esistenza del relativo danno deve comunque essere provata dal danneggiato.
[Adv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]Thursday, 10 July 2014 – Doctor33
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