Lo scrittore Ennio Flaiano disse una volta che «in Italia la linea più breve tra due punti non è la retta ma l’arabesco». Era una sferzata all’inclinazione di questo Paese per gli arzigogoli, ma se Flaiano fosse ancora tra noi avrebbe senz’altro dedicato il suo aforisma alla distribuzione diretta. Per convincersene basta andare a Bore, piccolo comune di 700 abitanti in provincia di Parma, e vedere come funziona da quelle parti. Lo racconta una lettera pubblicata ieri nella rubrica della posta dalla Gazzetta di Parma: ogni due giorni a settimana, il medico di paese affida le
Per dirla con Flaiano, questo è l’arabesco che la diretta disegna a Bore. Ci sarebbe anche la linea retta, quella che va dall’ambulatorio alla farmacia del paese, distante una decina di metri in tutto (secondo quanto riferisce la lettera). Ma non è sostenibile: come ha detto la Regione alla vigilia della mezza giornata di sciopero proclamato dalle farmacie emiliano-romagnole il 26 gennaio scorso, la dpc costa al servizio sanitario 5,02 euro a pezzo, la diretta 1,90. L’arabesco, in altri termini, sarebbe più conveniente della linea retta. Ma è davvero così? In quegli 1,90 euro, la Regione ha calcolato il costo annuale di tutti gli incaricati comunali che fanno su e giù con l’Asl un paio di volte alla settimana, della benzina che spendono e dell’auto pubblica che usurano? Ha calcolato la spesa annuale di tutti i corrieri che portano ricette e farmaci dalle Asl agli ospedali? C’è di che dubitarne, ma la verità è che nessuno lo sa: l’arabesco non è mai trasparente quanto la linea retta.