Avastin Lucentis, new scenarios after the criminal acquittal?

Il Tribunale di Roma giudica pienamente lecito il comportamento di Roche e Novartis rispetto alle accuse di aggiotaggio. Nei prossimi mesi è attesa la Corte di Cassazione sul ricorso per revocazione presentato contro la sentenza del Consiglio di Stato del 29 gennaio 2019 che nei fatti confermava le sanzioni volute da Agcm. Possibili colpi di scena

Aboutpharma – Stefano Di Marzo – 24 agosto 2020

Avastin Lucentis, la storia prosegue e a questo punto non si escludono colpi di scena. Dopo l’assoluzione depositata il 21 luglio scorso per il reato di aggiotaggio, da parte del Tribunale di Roma e con una formula che più piena non si può (“il fatto non sussiste”), Roche e Novartis attendono nei prossimi mesi il pronunciamento della Corte di Cassazione a sezioni unite su un ricorso per revocazione presentato da Roche contro la sentenza del Consiglio di Stato del 29 gennaio 2019.

Per inciso, si attende anche l’esito di un altro ricorso, tuttora pendente contro il medesimo provvedimento, presentato alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo per violazioni degli articoli 6 e 7 della Convenzione omonima, relativi all’equo processo e al concetto di nulla pena sine lege (“nessuno può essere condannato per un’azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”).

La cronistoria giudiziaria del caso Avastin Lucentis

Va ricordato che la citata e contestata sentenza del Consiglio di Stato aveva respinto gli appelli presentati dalle due aziende avversi a un pronunciamento del Tar Lazio risalente al 2 dicembre 2014 che a sua volta rigettava l’impugnazione operata dalle aziende stesse del procedimento avviato dall’Autorità per la concorrenza e mercato (Agcm) il 27 febbraio dello stesso anno. Procedimento che – come sanno anche le pietre – irrogava a Roche e Novartis sanzioni “monstre” nell’ordine rispettivo di 90.539.369 e 92.028.750 euro con l’accusa di aver fatto cartello, almeno fino al 1 novembre 2012. In più operando una serie di comportamenti artificiosi, azioni manipolatorie e persuasive a danno di istituzioni e medici specialisti, al fine di imporre sul mercato un farmaco decisamente più costoso (Lucentis di Novartis) in luogo del meno caro (Avastin di Roche), pur essendo i medicinali bioequivalenti, secondo Agcm.

Due diversi giudizi 

Tornando all’attualità della causa penale, nell’attesa di un’eventuale impugnazione da parte del Pubblico ministero, ci si chiede quale riverbero potrebbe avere sui procedimenti civili in corso la sentenza pronunciata a luglio dal giudice Valeria Ciampelli della VI Sezione del Tribunale di Roma. A ben vedere, nelle sue 61 pagine, il testo che ben riassume l’intera vicenda dai suoi albori e ha totalmente assolto gli imputati Maurizio De Cicco (presidente e amministratore delegato di Roche) e Philippe Jacques Barrois (ad di Novartis all’epoca dei fatti contestati), non rilevando alcuna condotta illecita nei loro comportamenti, demolisce l’impianto accusatorio dell’Agcm, dando nelle sue motivazioni una lettura dei fatti opposta a quella dell’Autorità Garante. Soprattutto per quanto attiene il tenore dello scambio di mail intervenuto tra le due società: mirante a compiere un azione collusiva secondo Agcm; lecito e anzi doveroso secondo il giudice, considerati gli obblighi di farmacovigilanza stabiliti dalla legge a carico del titolare dell’AIC (Roche nel caso di Avastin), a prescindere se il medicinale sia impiegato on label (oncologia) oppure off label (uso oftalmologico contro degenerazione maculare essudativa con iniezioni intravitreali).

Roche “amaramente” soddisfatta

Amara la considerazione formulata in piena estate da Maurizio De Cicco ad AboutPharma: “Se da un lato c’è grande soddisfazione per la sentenza definitiva che ci dà ragione piena, dall’altra c’è l’amarezza per una vicenda kafkiana che si è trascinata per sei anni. Per la prima volta un giudice ha letto, ha ascoltato, ha approfondito e non si è fermato ad un giudizio sommario, basato più sull’immaginario che sui fatti concreti. Ora che invece finalmente si è voluto e dovuto andare a fondo per un giudizio penale, auspico che si possa riapprofondire anche la sentenza dell’Antitrust (revocando infatti la decisione del Consiglio di Stato, n.d.r)”.

Aggiunge Vincenzo Salvatore, consulente tecnico di parte nella causa ed ex responsabile dell’ufficio legale di Ema (oggi è leader del Focus Team Healthcare e Life Sciences dello studio legale BonelliErede): “Credo sia importante sottolineare come il giudice penale abbia correttamente interpretato gli obblighi in materia di farmacovigilanza imposti al titolare di un’autorizzazione all’immissione in commercio.

La segnalazione dei possibili rischi connessi all’utilizzazione off label di un farmaco non può essere condizionata da, o subordinata a, alcuna valutazione di carattere economico che consideri, in particolare, il risparmio che l’utilizzazione di un farmaco al di fuori di un’indicazione terapeutica autorizzata può determinare in termini di contenimento della spesa farmaceutica”.

I punti cardine dell’assoluzione

Il giudice Valeria Ciampelli non ha creduto alle ipotesi accusatorie, in barba alle richieste di condanna (sei mesi di reclusione e duemila euro di multa) formulate dal pm Stefano Pesci a carico degli imputati Maurizio De Cicco e Philippe Barrois e a quelle della parte civile in cui si era costituita la Società italiana di oftalmologia con il suo presidente Matteo Piovella (oltre alla pena da infliggersi, la pretesa era di altri 250 mila euro per risarcimento danni anche all’immagine degli oculisti italiani, più una provvisionale di 50 mila euro e alle spese legali).

Sintesi della motivazione

L’assoluzione è stata ampiamente motivata ai sensi degli articoli 110 (reati in concorso) e 530 (aggiotaggio) del codice penale. In primo luogo, secondo il giudice Ciampelli, perché il reato (alterazione del mercato “naturale” e delle pratiche concorrenziali per effetto di notizie false, esagerate, tendenziose e comportamenti fraudolenti) non si è prodotto per il semplice fatto che i due farmaci non si trovavano né si trovano in condizioni di concorrenza tra loro (oncologia e oftalmologia).

Ciò anche perché l’uso off label di Avastin, scrive il giudice, per effetto della legge italiana (legge di Bella) avrebbe dovuto essere consentito solo in assenza di valida alternativa terapeutica che invece esisteva ed esiste (Lucentis), nonostante nel 2014 sia intervenuto il decreto 36 (decreto Lorenzin), poi convertito in legge,  che rende rimborsabili dal Ssn anche i farmaci usati fuori indicazione, a condizione che ciò sia supportato da ricerche e pratiche scientifiche e secondo parametri di economicità e appropriatezza, favorendo così l’impiego di medicinali meno onerosi.

Nessuna influenza sui prezzi

Il secondo punto riguarda la negoziazione dei prezzi con Aifa, pietra originaria dello scandalo (all’epoca dei fatti contestati Avastin costava 81,64 euro a dose contro i 1100 di Lucentis poi giunti agli attuali 400 dopo plurime negoziazioni). Scrive il giudice che “le condotte in valutazione non sono state mai concretamente idonee a porre in pericolo determinazioni a variazioni in aumento del prezzo di Lucentis”.

Il giudice ritiene infatti che la negoziazione sia stata coerentemente collegata a valutazioni tecnico-scientifiche e che non vi siano elementi “che consentano di stabilire quale sarebbe stato il prezzo di Avastin per uso oftalmico se fosse stato oggetto di negoziazione con Aifa”. La difesa di Roche aveva in effetti sempre sostenuto il punto, motivandolo con la necessità di effettuare ulteriori e costosi studi clinici per ottenere un’estensione di indicazioni cui, peraltro, non poteva essere obbligata.

L’eliminazione dalla 648

Smontata anche la tesi secondo cui le aziende si sarebbero fraudolentemente adoperate per far eliminare l’Avastin dalla lista prevista dalla legge 648/96 (farmaci fuori indicazione a carico del Ssn),per l’indicazione di maculopatia essudativa. Tale scelta – secondo il giudice – fu dettata da esigenze di salvaguardia della salute pubblica, ritenute prevalenti rispetto a quelle di impiego di medicinali meno onerosi.

Soprattutto, per quanto attiene la respinta accusa di aggiotaggio, l’espunzione dalla 648, si legge nella sentenza assolutoria, “non derivò dalla strategia commerciale degli ad delle aziende ma da un provvedimento, peraltro impugnabile da eventuali interessati, assunto autonomamente e al di fuori di qualsiasi scenario collusivo dal competente ente regolatorio, all’esito di valutazioni tecnico-scientifiche”.

Per inciso, come da decreto Lorenzin, e come puntualmente rilevato dal giudice Ciampelli, proprio l’Aifa avrebbe potuto autonomamente registrare l’Avastin per uso intravitreale, previa cessione a titolo gratuito dei diritti su tale indicazione da parte del titolare AIC. Cosa mai avvenuta (“di fatto nemmeno l’Aifa si è attivata autonomamente, quindi rimane inalterato il regime off label”).

Il nodo della sicurezza

Lo snodo centrale riguarda la sicurezza di Avastin impiegato off label e gli eventi avversi a ciò collegati. Il giudice ritiene non crede che le notizie propalate dagli imputati fossero “false, esagerate o tendenziose e che le iniziative fossero artificiose, ovvero volte ad ingannare e a provocare un’indebita variazione del prezzo”.

Le accuse sostenute dalla Soi e dal suo presidente, in fase dibattimentale (l’8 luglio scorso) si erano precisamente riferite a un convegno della Società oftalmologica lombarda, sponsorizzato da Novartis, che avrebbe “stressato” i pericoli dell’uso intravitreale giudicandolo due volte off label. Il giudice non ha dubbi: “Le informazioni diffuse al convegno corrispondono a verità. L’uso off label all’epoca dei fatti era per legge residuale all’esistenza di valida alternativa terapeutica che invece c’era.

L’obbligo di farmacovigilanza

Rigettata anche l’idea secondo cui Roche si fosse scorrettamente adoperata con l’Agenzia europea del farmaco (Ema) per far modificare il Riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) di Avastin, al fine di limitare l’uso oftalmico, enfatizzando gli eventi avversi. Ema in effetti respinse le modifiche non collocandole nella sezione 4.8 (effetti indesiderati) ma le accolse, su segnalazione di Roche, inserendole nella sezione 4.4 (avvertenze e precauzioni d’uso) per segnalare i rischi conseguenti alla pratica off label dopo opportuna valutazione del Comitato tecnico scientifico.

“Non è dato comprendere – si legge nella sentenza – come tale iniziativa sia pure concertata tra le due aziende farmaceutiche (stante l’innegabile e plausibile interesse di Novartis alla commercializzazione del Lucentis) possa assumere connotazioni fraudolente e ingannevoli, essendo dovuta per legge a tutela della salute pubblica ed essendo stata ritenuta meritevole di valutazione, tanto da trovare parziale accoglimento da parte di una pubblica autorità di altissimo livello tecnico-scientifico posta alla tutela della salute pubblica”.

Secondo il magistrato, infatti, tale iniziativa traeva origine da “notizie vere, per nulla enfatizzate o distorte, rappresentate dai risultati di studi clinici noti al tempo delle comunicazioni stesse, che segnalavano eventi avversi proprio in relazione alla somministrazione del farmaco con iniezione intravitreale”.

Il giudice ribadisce che non potesse essere omessa l’informazione sui possibili rischi dell’off label, giacché le aziende hanno l’obbligo di riferirli se rilevati negli studi clinici come nell’uso clinico. Ciò è fissato dalla direttiva europea 2001/83 (articolo 101) e riguarda sia gli eventi avversi avvenuti in conformità di AIC, sia fuori dalle indicazioni. Il titolare dell’AIC – nella fattispecie solo Roche e non Novartis – deve quindi informare l’Ema e un obbligo analogo è previsto dalla legislazione nazionale (articolo 130 dlgs 219/2006).

Contro il Consiglio di Stato

Un passaggio del giudice penale riguarda anche la citata sentenza del Consiglio di Stato nella parte (pagina 64) che riafferma l’esistenza di concertazioni illecite tra le aziende (“la mole di riscontri e la congruenza narrativa dell’ipotesi accusatoria non lascia spazio ad alcun tentativo di ricostruzione alternativa, poiché il riscontrato parallelismo di condotte non può essere frutto di una adattamento spontaneo automatico alle dinamiche del mercato”).

“Deve contrariamente rilevarsi  – scrive il giudice Ciampelli – che fu Roche a richiedere a Ema la modifica del RCP di Avastin. Il fatto che tale iniziativa fosse stata frutto di scambio di informazioni e di una concertazione con Novartis non consente, perciò solo, di affermare che quanto richiesto da Roche a Ema non rispondesse al proprio dovere di segnalare eventi avversi connessi all’uso off label di Avastin. Ed è chiaro ma di per sé penalmente irrilevante, l’interesse di Novartis a favore di iniziative comunque lecite ed anzi dovute volte a limitare l’uso off label di Avastin!”.

A difesa della salute pubblica

Le aziende, dunque, non hanno inteso lucrare ma anzi difendere la salute dei pazienti. Su questo il parere espresso dal Tribunale di Roma non lascia spazio a dubbi. “In tale ottica vanno letti gli scambi di mail tra imputati. I casi ci sono stati. La notizia è obiettiva, l’informazione non è manipolata né tendenziosa. Al contrario è espressa sincera preoccupazione a fronte della scoperta della preparazione di siringhe monouso e dell’urgenza di prendere posizione verso le autorità avendo riguardo alla segnalazioni di endoftalmiti e vitreiti”.

Prova ne sia anche una Dear doctor letter inviata da Roche che riporta informazioni “non ingannevoli” riferite a eventi avversi “risultati corrispondenti a quelli documentati da fonti accreditate coeve all’epoca della diffusione delle informazioni stesse”. Almeno stavolta Big Pharma non è brutta, sporca e cattiva quindi. Anche questa è una notizia.

 

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