Adf, 800 exporting pharmacists contribute to drug shortages
Fedaisf editorial staff
Associazione grossisti, a monte anche problema contingentamento aziende
THEn Italia è ancora preoccupante il problema della carenza di alcuni farmaci di uso comune, come anticolesterolo, antibiotici o anche prodotti per il trattamento del Parkinson o di malattie nervose. Conseguenza, denuncia a Pharmakronos l’Associazione Distributori Farmaceutici (Adf), della scelta fatta da circa “700-800 farmacisti, sui 18.000 esistenti in Italia, che hanno richiesto l’autorizzazione regionale da grossisti, che consente però in pratica di diventare, legalmente, esportatori paralleli”.
In questo modo, prosegue l’Adf, formalmente “in Italia arriviamo a contare quasi 1.000 grossisti: i 60 aderenti ad Adf, i circa 20 di Federfarma Servizi, e gli 800 farmacisti. Un numero che, agli occhi degli altri Paesi, è enorme: in Germania o in altri Stati europei sono in tutto una decina”. I farmacisti dunque chiederebbero questa autorizzazione per vendere i medicinali ad altri Paesi dove costano di più. Ma considerando che, denuncia l’Adf, “a monte si aggiunge un contingentamento molto severo da parte delle aziende produttrici, per cui un grossista chiede 100 pezzi e ne riceve 15-20, al massimo 25, il problema delle carenze non diminuisce e continua anzi a preoccupare, perché i cittadini italiani si trovano nella situazione di non riuscire a approvvigionarsi la loro terapia”.
L’Adf propone “una ‘clausola del tramonto’ o ‘sunset clause’: l’autorizzazione a diventare grossista, se non utilizzata per i fini tipici, deve cioè decadere, e siccome il fine dei grossisti è di vendere ad altre farmacie, mentre le farmacie usano questo strumento come trampolino per fare esportazione, pensiamo sia il caso di ritirare queste autorizzazioni. Su questo punto – rileva infine l’Adf – ci sono Regioni più serie: ad esempio la Sardegna che non ne ha concessa nemmeno una. Ma c’è da dire che anche lì ci sono le carenze, a causa del contingentamento, una pratica presente in tutta Italia”.
Federfarma, contro carenze prezzo unico europeo
Quella che consente ai farmacisti di ottenere un’autorizzazione regionale per esportare in altri Paesi i medicinali, “è una norma che va cambiata, perché non possiamo permettere che in questo Paese manchino i farmaci per i malati italiani perché vanno all’estero. E ci vuole un prezzo unico europeo per fermare questo fenomeno”.
A dirlo il presidente di Federfarma, Annarosa Racca, che però risponde a quanto affermato dall’Adf dicendo: “I farmacisti ‘esportatori’ mi risulta siano al massimo 300, non 800”. Racca si dichiara comunque contraria alle attività di esportazione parallela “che però fa capo ai farmacisti, non alle farmacie, tengo a precisarlo. Non difendo i titolari di farmacia che fanno questo, so che sono pochissimi, ma non è tollerabile perché poi è la farmacia ad avere problemi.
Però bisogna evidenziare che i maggiori esportatori paralleli sono i distributori intermedi, che hanno uffici e voci di fatturato dedicati. A me risulta che i farmacisti esportatori siano 200- 300. Avevamo iniziato a fare un lavoro con le Regioni affinché diano le autorizzazioni solo a chi è veramente grossista. E proposto la soluzione di adottare un prezzo unico europeo dei farmaci. Spesso sono da sola a dirlo, ma sarebbe il caso di fare questa scelta visto che siamo in un’Europa unita”, conclude.
Carenze ed export, Cini: no a «mano leggera» su autorizzazioni da Regioni
Sulla questione di carenze di farmaci e parallel trade, tornata alla ribalta per un dibattito tra Adf e Federfarma sul numero di farmacie dedite all’ingrosso dei farmaci, occorrerebbe responsabilizzare maggiormente le Regioni e avere una mano «meno leggera» rispetto alla possibilità di revocare le autorizzazioni. A lanciare l’appello Maurice Cini, professore e presidente dell’Associazione Scientifica Farmacisti Italiani (Asfi), che spiega: «Credo che per cercare di tenere sotto controllo il fenomeno l’azione più utile possa essere quella di fare pressioni alle Regioni.
Il Decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 17, che modifica e integra il D. L.vo 24 aprile 2006 n. 219 – “Attuazione della direttiva 2011/62/UE, che modifica la direttiva 2001/83/CE, contiene alcune disposizioni a proposito della verifica da parte delle Regioni relativa ai distributori. Credo che le Regioni dovrebbero fare la loro parte e anche avere una mano, per così dire, meno leggera rispetto alla possibilità di revocare le autorizzazioni». In particolare in capo alle Regioni c’è anche «l’ispezione dopo il rilascio della autorizzazione, finalizzata a verificare se in particolare strumentazione e dotazione di medicinali sono conformi agli obblighi di legge. I grossisti infatti devono essere dotati di tutti i medicinali previsti, compresi stupefacenti per i quali è necessaria una autorizzazione ministeriale non facile da ottenere».
Detto questo, devianze «ci possono essere e ci sono: grossisti che non sono veri grossisti, o anche pratiche non legali di acquistare tramite la farmacia il farmaco e rivenderlo come grossista, non positiva per la tracciabilità». Ma è necessario «fare i controlli». Sui numeri, per quanto riguarda le farmacie, «difficile avere un quadro. Non sono 800-900 come è stato detto da Adf, ma nemmeno 300, come dichiarato da Federfarma. Se all’inizio erano 200, poi questa cifra è andata aumentando e oggi potrebbero essere non meno di 400. Con forti differenze regionali, perché per esempio nella mia regione, l’Emilia Romagna, ne risultano 10-12.
Vale la pena però segnalare una mancanza anche da parte del ministero della salute. Se è vero che sul sito del ministero è pubblicato l’elenco dei grossisti è anche vero che non è chiaro quali di questi siano farmacie ed è necessario, per cercare di avere un quadro, andare a verificarne uno per uno. La banca dati c’è ma non dice tutto». Insomma, «c’è al riguardo una certa confusione e quando le cose sono così viene da pensare che, in un certo modo, faccia comodo». E inoltre occorre vedere dove e quali sono i «veri esportatori».
Export, Federfarma servizi: Adf accusa le farmacie? Basta guardare i loro bilanci
«Non capisco perché la distribuzione privata accusi le farmacie: basta andare a guardare i bilanci – che sono pubblici – di alcune multinazionali che afferiscono ad Adf per rendersi conto dell’entità dell’export di farmaci». Si inserisce così Giancarlo Esperti, direttore generale di Federfarma Servizi, nel botta e risposta tra Adf e Federfarma sui numeri delle farmacie nell’export parallelo – additato tra le cause della carenza di farmaci sul territorio nazionale. «Chiariamoci, il parallel trade è legittimo», ma «c’è la preoccupazione per la carenza di farmaci sul territorio che ne consegue: per questo diciamo che l’attenzione deve rimanere alta per evitare ulteriori distorsioni». Per quanto riguarda «le aziende aderenti a Federfarma Servizi vorrei ricordare che hanno consegnato una dichiarazione di responsabilità al Ministero della Salute e all’Aifa proprio per chiarire che non sono dedite all’attività di export parallelo. E questo perché non sarebbe coerente con la mission di cooperative o aziende che sono di proprietà di farmacisti non destinare quanto acquistato dall’industria alle farmacie del territorio». Sul fronte delle farmacie, «le anomalie ci sono. Ritengo difficile che un esercizio di 30 metri quadri possa essere anche distributore. Le Regioni dovrebbero essere più rigorose nel rilasciare le autorizzazioni e implementare la vigilanza». E comunque, aggiunge Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi, «sarebbero necessari strumenti sanzionatori più incisivi anche proprio per andare a colpire queste situazioni, almeno per risolvere una parte del problema». Ma quanto impatta l’attività delle farmacie? «Da alcuni dati» continua Mirone «risulta che nelle Regioni dove le autorizzazioni vengono rilasciate con minore facilità il fenomeno della carenza dei farmaci è più contenuto, mentre è più evidente nelle Regioni di manica più larga». Per questo, una delle richieste, secondo Esperti, è che «il decreto ministeriale di attuazione sulle buone norme di distribuzione del farmaco, che deve uscire, possa essere un’opportunità per inserire ulteriori paletti alla licenza». Paletti come, aggiunge Mirone, «superficie minima, un certo numero di referenze presenti, una evidente attività di distribuzione intermedia. Non è che manchi del tutto la normativa, ma c’è un problema di interpretazione – da cui anche le differenze a livello locale – che va resa più rigida. E poi i controlli devono diventare periodici, non basta farne uno a inizio attività». Da ultimo, Federfarma Servizi rilancia l’appello «per riprendere il tavolo con la filiera» dice ancora Esperti, «che si era arenato all’indomani della fuoriuscita di Adf: non capiamo perché, nonostante il fenomeno torni costantemente all’attenzione, non si riprenda». E, conclude Mirone, «portare avanti la proposta sposata anche da Federfarma del prezzo medio europeo con la possibilità, attraverso il pay back da parte delle industrie, per i sistemi sanitari dei vari Paesi di contrattare e applicare sul territorio nazionale un costo diverso e più basso».