In media, la sostituzione del generico in farmacia costringe il paziente anziano in politrattamento a cambiare marca del farmaco quasi due volte su tre, con effetti tutt’altro che positivi sulla continuità terapeutica e sul corretto uso del farmaco. È uno dei dati contenuti nell’articolo che il numero in uscita di Dialogo sui farmaci, la rivista indipendente di informazione dell’Asl 20 di Verona, dedica al controverso tema della sostituibilità. L’articolo di Dialogo sui farmaci resta estraneo alla querelle, ma i dati che sforna danno indirettamente ragione ad alcune delle tesi sostenute dai generalisti. Gli autori hanno preso in esame una coorte di quasi 30mila pazienti ultra 65enni dell’Asl 20, affetti da patologie croniche e in trattamento da almeno un anno con farmaci delle categorie a maggiore spesa, come antiipertensivi, diuretici, ipolipemizzanti eccetera. Un’analisi dei consumi (effettuata prima che l’Aifa tagliasse i prezzi degli off patent) ha rivelato che la probabilità di sostituzione cresce in base al numero di confezioni assunte e soprattutto al numero di principi attivi. «Un paziente che in un anno consuma 7 confezioni della stessa sostanza» spiega Maria Font, vicedirettore della rivista e tra gli autori dello studio «subisce una sostituzione nel 26% dei casi. Un paziente che assume tre diversi principi attivi, invece, subisce una sostituzione nel 61% dei casi». Lo studio ha registrato la stessa variabilità anche dalla prospettiva delle farmacie: «Ci sono presidi che propongono un numero limitato di marche per principio attivo» prosegue Font «e altri che tengono un numero elevato di prodotti. Ma quello che risulta più interessante è la variabilità della sostituzione per i dieci principi attivi presi in esame: alcuni, dove prevale solitamente l’originator, vengono sostituiti pochissimo – come la furosemide, per la quale registriamo una sostituzione ogni 600 confezioni dispensate – altri, dove c’è una maggiore competizione da parte del generico, hanno indici di sostituzione più elevati. È il caso dell’atenololo, che viene cambiato ogni 40 confezioni». La conclusione cui giungono gli autori dello studio è quasi ovvia: ai pazienti anziani cronici, per di più in politerapia, la sostituzione dovrebbe essere proposta con estrema cautela. «Non abbiamo esaminato le ricadute sulla coorte di riferimento» sottolinea Maria Font «ma l’esperienza ci insegna che cambiare spesso scatoletta disorienta il paziente fragile e lo induce in errore: c’è anche chi arriva a raddoppiare il dosaggio perché è indotto a pensare che due confezioni diverse significhino due differenti farmaci». Le soluzioni? Tante: «I medici possono sempre indicare non sostituibile in ricetta» ricorda Font «oppure si può concordare che quando il prescrittore indica la marca commerciale del generico il farmacista non sostituisce. O ancora, si possono invitare le farmacie a ridurre la variabilità delle marche trattate senza lasciarsi trasportare dai benefit che alcuni produttori offrono. L’importante è prendere coscienza del fatto che una sostituzione insistita nel paziente fragile non aiuta la terapia».
Farmacista33 – 6 luglio 2011