Informatori scientifici del farmaco: da 25mila a 9mila in dieci anni
CORRIERE DELLA SERA / BLOG – 20 APRILE 2017 | di La Redazione | di Sabrina Spina
Un rapporto di amore e odio. Da una parte la passione per l’informazione scientifica, dall’altra le dinamiche di un settore, quello farmaceutico, che hanno portato a una drastica riduzione della categoria, con un ridimensionamento che impressiona: in Italia negli ultimi 10 anni gli informatori scientifici del farmaco sono passati da 25.000 a 9.000.
«Il nostro è un lavoro bellissimo, molto gratificante per cui è necessario essere molto qualificati. Non siamo venditori. Trattiamo farmaci che dal punto di vista tecnologico rappresentano il prodotto più sofisticato e avanzato presente sul mercato. I biologici, sempre più diffusi, hanno caratteristiche tali per cui per fare l’informazione scientifica bisogna essere molto preparati e qualificati. O pensiamo, ad esempio, alle terapie per le malattie rare: dobbiamo conoscere molto bene l’argomento, abbiamo a che fare con singole persone più che con malattie. Purtroppo le aziende, per ragioni di risparmio, sottovalutano il rapporto umano di fiducia che solo noi possiamo instaurare con il medico. Tentano forme alternative di comunicazione, ma nessuna è efficace come quella che c’è tra noi e il medico».
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Oggi lo scoglio d’ingresso in una grande azienda farmaceutica è molto più difficile da superare rispetto ad anni fa, ma una volta entrati ci sono buone opportunità di crescita sia orizzontali che verticali. «Non sono rari casi di informatori che sono cresciuti fino a diventare dirigenti d’azienda».
Ma ora che i temi sanitari, come i vaccini, diventano addirittura tema di lotta politica, che funzione possono svolgere gli informatori? «Penso che abbiamo una grande opportunità – risponde Mazzarella – potremmo essere più attivi nel controllo delle informazioni che circolano su questi argomenti; siamo vicini al territorio e al cittadino, quindi possiamo contribuire ad arginare le false informazioni che circolano. Ci piacerebbe che le aziende ci sfruttassero come un mezzo di comunicazione anche in questo senso».