Alcuni elementi di criticità, spiega la Simi, devono essere sempre tenuti in considerazione quando si prescrive un generico.
Articolo pubblicato il: 30/10/2014
Gli esperti propongono di richiedere studi di bioequivalenza più appropriati prima dell’immissione sul mercato dei nuovi generici e una farmacovigilanza attenta, per una più stretta collaborazione tra autorità sanitarie, operatori sanitari e cittadini nella individuazione e segnalazione di eventuali effetti collaterali dovuti all’uso degli equivalenti. “I generici sono una risorsa insostituibile: non c’è dubbio che abbiano contribuito a calmierare i prezzi e a ridurre il costo dei medicinali sia per le famiglie che per lo Stato. Tuttavia occorre fare attenzione ad alcuni ‘elementi critici’ per far sì che il loro uso sia corretto, efficace e sicuro”, osserva Franco Perticone, presidente eletto Simi.
Per farmaci generici che si posizionano agli estremi della ‘forbice’ “può accadere che, pur essendo equivalenti al farmaco originatore di
Gli stessi studi di bioequivalenza, effettuati in media su 24-36 adulti sani, secondo gli esperti dovrebbero essere migliorati e approfonditi, ad esempio estendendoli ad altre tipologie di soggetti con patologie croniche e rappresentativi del contesto clinico d’impiego, per capire l’effettiva efficacia dei generici nelle condizioni reali di utilizzo. “Le richieste quali-quantitative per l’immissione sul mercato di questi farmaci, pur essendo consistenti, non sono uguali a quelle per il farmaco originatore – spiega ancora Perticone – Oggi di un generico sappiamo solo che vi possono essere differenze nelle concentrazioni ematiche del farmaco senza sapere come si traducono in eventuali differenze di efficacia”.
N.d.R.: fonte dei grafici: Assogenerici
Equivalenti, tra i medici restano sacche di “freddezza”
Venerdì, 31 Ottobre 2014 – Doctor33
Aumentano (dal 36 al 44%) gli italiani convinti che i farmaci equivalenti non presentino minor tollerabilità degli originator, e cresce dal 77 al 79% la parte di pubblico che ha avuto un’esperienza positiva con questi prodotti, che in sei anni hanno fatto risparmiare un miliardo e mezzo di euro al servizio sanitario.
Per contro, la diffusione percepita dell’unbranded è molto inferiore e resta un 47% di connazionali convinti di assumere medicinali poco usati. I dati emergono dal sondaggio Doxa “la sostenibilità della cura” condotto per il secondo anno su un campione di 600 italiani intervistati online e un altro di medici di famiglia e farmacisti.
Resta poi un 36% (lieve diminuzione per complessivamente un decimo delle segnalazioni) di medici di famiglia che non appaiono né favorevoli né contrari al farmaco non di marca. Accanto a un 26% di cittadini i cui curanti non parlano del tema farmaci equivalenti, emerge che solo il 46% dei mmg è veramente favorevole mentre un 21% non prende posizione e un 7% è decisamente contrario.
Tre i motivi della contrarietà: primo il fatto che si tolleri un range troppo ampio di “equivalenza biologica”, pari al 20%, rispetto al farmaco di marca; secondo, a parità o quasi di prezzo si consiglia l’originator perché lo si conosce meglio; terzo, in alcune aree delicate (neurologia, psichiatria, cardiovascolare) l’oscillazione in basso o in alto del 20% della disponibilità del principio attivo può creare problemi.
Presente all’incontro, il farmacologo Silvio Garattini denuncia che ancora molti medici risentono dello stimolo della pubblicità delle industrie del farmaco, «non efficacemente contrastato da Agenzia del farmaco e governo né da una campagna informativa nazionale sui mezzi radiotelevisivi».
Giuseppe Nielfi presidente del sindacato degli specialisti Asl Sumai, sottolinea le carenze formative nel mondo medico. «Dallo stato dovrebbe arrivare un’iniziativa per una Fad comune dei medici del territorio su questi temi; sappiamo quanto il dare informazioni confliggenti tra medici non giovi al rapporto di fiducia e al Servizio sanitario».
Non del tutto soddisfatto dell’indagine Enrique Hausermann presidente di Assogenerici: «Da 15 anni i discorsi in materia di equivamenti non sono cambiati, ancora nel 2013 – come rileva il rapporto Osmed – gli italiani hanno speso un miliardo di euro per procurarsi il farmaco di marca. Le prime normative del ’96 sulla commercializzazione degli equivalenti imponevano studi di bioequivalenza ma con la prima vera rivoluzione del 2001 fu possibile rendere equivalenti farmaci registrati come copie, cioè sulla base di studi clinici propri. Quei farmaci erano meno di cinque, ma c’era la nimesulide».
Proprio lì si osservarono differenze marcate rispetto all’originator, il cui ricordo tuttora pesa.
Mauro Miserendino
Equivalenti, per i cittadini il farmacista frena nella sostituzione
Venerdì, 31 Ottobre 2014 – Farmacista33
Diminuisce, anche se di poco, la frequenza con cui il farmacista propone al cittadino l’acquisto di un farmaco equivalente al posto di uno di marca: un obbligo previsto dal 2012 per legge ma assolto nel 2013 nel 53% dei casi contro il 58% di un anno prima. Il dato emerge dal sondaggio Doxa “la sostenibilità della cura” condotto su un campione di 600 italiani intervistati online e un secondo di medici di famiglia e farmacisti. L’indagine – al secondo ann o- tocca anche la sostenibilità del Ssn, individuando quattro atteggiamenti degli italiani (partecipativi, arrabbiati, auto-assolutori, fatalisti); tra i comportamenti da attivare per non sprecare i soldi della sanità pubblica spicca proprio l’utilizzo di equivalenti insieme alla prevenzione. Gli italiani curati con questi farmaci sono ormai il 92% e cresce di qualche punto sfiorando ormai l’80% la percentuale di chi ha un’esperienza d’uso favorevole; aumentano anche gli italiani convinti che i generici siano altrettanto tollerabili degli originator (dal 36 al 44%) ed altrettanto sicuri (dal 67 al 70%). Tra i farmacisti intervistati in un sondaggio a latere con i Mmg emerge la convinzione che gli equivalenti consentano maggiore accessibilità alla cura e risparmi al Ssn, ma anche la consapevolezza che la biodisponibilità rispetto al farmaco di marca possa essere inferiore. Claudio Distefano past president Fenagifar replica al giornalista Alessandro Cecchi Paone che rileva come nell’esperienza comune sia frequentissimo il caso del farmacista che sconsiglia al paziente l’uso di equivalenti, indirizzandolo al farmaco branded. «Si può dire che il farmacista sconsiglia l’equivalente e il suo contrario. Il farmacista nel suo adempiere alla legge è stato già rimproverato di avere convenienza nel sostenere gli equivalenti, ma non ci sono elementi per parlare di ragioni d’interesse: è solo un fatto culturale, dialogando con il cittadino ci riappropriamo del valore del nostro atto professionale». Pia Policicchio neopresidente Fenagifar sottolinea che «restano sacche di non collaborazione con i mmg» e le ragioni originarie sono un po’ le stesse per le quali oggi il termine “equivalente” ha un’accezione migliore di “generico”: «Il secondo termine si lega alla campagna divulgativa del 2002, quando si parlò di generico come alternativa economica senza soffermarsi sulla risposta terapeutica e sulla necessità di dare al pubblico certezze sull’equivalenza rispetto all’originator». Da qui forse nacquero convinzioni dure a morire. Peraltro dal sondaggio emergono dati paradossali e insieme incoraggianti. Un esempio? Pur diminuendo (dal 59 al 54%) resta davvero alta la percentuale di italiani convinta che i generici siano utilizzati di più all’estero che in Italia: ed estero vuol dire qualità, a giudicare dai giudizi di quel 32% del campione che ha avuto a che fare con le sanità straniere e le cui risposte, censite in base alle esperienze nei vari paesi, vedono puntualmente il nostro Ssn inferiore a tutti, incluse le sanità di Spagna e Grecia.
Mauro Miserendino