La Corte di Cassazione [Penale Sent. Sez. 5 Num. 13057 Anno 2016] ha stabilito che la presenza della password nella casella di posta elettronica del lavoratore rivela una chiara volontà di farne
A sottolinearlo la Fondazione Studi dell’Ordine dei consulenti del lavoro in un approfondimento giuridico. «I giudici della suprema Corte», spiega una nota, «hanno confermato la condanna a sei mesi per un dipendente pubblico che aveva effettuato ripetuti accessi nella casella di un collega per scaricare alcuni documenti».
La Cassazione ha anche precisato che i sistemi informatici rappresentano un’espansione ideale dell’area di rispetto, garantita dall’articolo 14 della Costituzione e penalmente tutelata».
Giurisprudenza Flash – Consulenti del Lavoro – 28/04/2016
«Integra il reato di cui all’art. 615 ter cod. pen. la condotta di colui che accede abusivamente all’ altrui casella di posta elettronica trattandosi di una spazio di memoria, protetto da una password personalizzata, di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura, nell’esclusiva disponibilità del suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio .In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che anche nell’ambito del sistema informatico pubblico, la casella di posta elettronica del dipendente, purché protetta da una password personalizzata, rappresenta il suo domicilio informatico sicché è illecito l’accesso alla stessa da parte di chiunque, ivi compreso il superiore gerarchico ( n.13057 del 2015 rv 266182 ) . Proprio il potere di “esclusiva” ed “escludente” riservato al titolare della casella di posta elettronica avvalora la appartenenza dei dati informatici con conseguente esclusione della fattispecie di cui all’art.615 bis cod.pen. in caso di cancellazione degli stessi» [Penale Sent. Sez. 2 Num. 38331 Anno 2016]
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