Un nuovo studio, pubblicato su Nature Communications, ha dimostrato come bastino dai 2 ai 10 secondi per far diventare virale un contenuto grazie ai cosiddetti social bot, software che si comportano in rete e sui social come fossero utenti reali. Ma non lo sono. Lo studio coordinato dal ricercatore Filippo Menczer e condotto da ricercatori italiani dell’Università dell’Indiana a Bloomington – altro dato su cui varrebbe la pena riflettere – ha analizzato 14 milioni di tweet e 400 mila articoli condivisi su Twitter tra maggio 2016 e marzo 2017. È bene ricordare che le elezioni presidenziali negli Usa si sono tenute l’8 novembre 2016. Lo studio ha dimostrato il ruolo dei bot nella diffusione delle fake news, ma anche quello di chi più o meno inconsapevolmente condivide le fake.
In pratica, i bot vengono attivati per rilanciare il contenuto falso in maniera massiva sui social, perché di solito si tende a dare maggiore credibilità a messaggi che vengono veicolati da più persone. In questo modo, un po’ per l’effetto echo chamber tipico dei social – vediamo soprattutto i contenuti postati da coloro con i quali interagiamo maggiormente, finendo in una sorta di bolla –, un po’ per l’ampiezza di diffusione e per i linguaggi usati che toccano molto le corde dell’emotività e quindi odio e rabbia, anche ignari utenti finiscono per diventare veri e propri “untori”. [rassegna.it]
Le bufale attingono alla fantasia e questo le fa somigliare un po’ alle fiabe. Ma il loro unico scopo è trarre in inganno le persone, mettendo in pericolo la loro felicità o addirittura la salute e, in casi estremi, la vita. Vengono seminate da gente ignobile, senza scrupoli o semplicemente molto ignorante. Basti pensasre alla recente affermazione che la terra è piatta ignorando che già nel III° secolo Avanti Cristo Eratostene di Cirene dimostò che la terra era rotonda. Una regressione di 2300 anni!
Se teniamo alla nostra sicurezza dobbiamo verificare quello che ci dicono, soprattutto se le loro affermazioni sono proprio quello che speravamo di sentire. Dobbiamo imparare a riconoscere i ciarlatani e le loro tattiche, per poterli smascherare. La pigrizia mentale può costarci molto cara e quando si tratta della salute potrebbe avere conseguenze molto gravi.
L’essere umano è maestro nel fare economia: ove possibile tendiamo a risparmiare risorse, anche quando si tratta “soltanto” di pensare. Il pensiero automatico è veloce, richiede il minimo sforzo e permette di utilizzare le nostre limitate risorse mentali in altri compiti. Queste scorciatoie possono essere utili in alcune situazioni, ma l’altra faccia della medaglia è la maggiore facilità di cadere in eccessive semplificazioni, inscatolati nei pregiudizi.
Le bufale sui vaccini ebbero origine da Andrew Wakefield, il medico inglese oggi radiato dall’albo, che nel 1998 su Lancet aveva pubblicato uno studio falso secondo cui i vaccini provocano l’autismo.
In seguito, altri studi non confermarono il dato e si scoprì che Wakefield aveva ricevuto 435.000 sterline dagli avvocati di alcuni genitori, che volevano avere un risarcimento per la malattia dei figli, attribuendola proprio al vaccino. Si scoprì anche che la ricerca era un tentativo di screditare i vaccini trivalenti a favore di un altro sistema brevettato dallo stesso Wakefield.
Siamo portati a credere a tutto perché in fondo la maggior parte delle informazioni che leggiamo o ascoltiamo sono vere. Diversi studi lo confermano: generalmente elaboriamo ogni informazione che proviene dall’esterno come se fosse vera, e solo con uno sforzo cognitivo ulteriore la classifichiamo eventualmente come falsa.
Si possono evitare le bufale a patto di essere dei veri esperti della materia. Se non lo si è, i ricercatori suggeriscono come unica arma di difesa il fact checking professionale: mettere cioè in discussione tutto ciò che non si conosce con sicurezza e verificarlo in maniera puntuale con l’aiuto di fonti affidabili. Inoltre i social tendono a capire le preferenze dell’utente e a personalizzare il feed, il che significa che verranno proposti e riproposti dei contenuti in linea con quello che l’utente crede già, rafforzandolo.
Tendiamo poi ad accettare senza farci troppe domande le informazioni che sono abbastanza vicine alla verità. Ciò crea dei dubbi. dà adito a sospetti che uno va a verificare solo nelle informazioni in rete che confermano i suoi dubbi, scartando le informazioni affidabili.
“Conoscere per deliberare”, come ripeteva Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica Italiana, deve essere oggi un caposaldo che guidi il lavoro di chi si approccia al mondo dell’informazione.
E una comunicazione della medicina e della salute al riparo dalle bufale è un passo fondamentale per fornire a tutti gli strumenti per scelte consapevolmente fiduciose, come quelle di un paziente che si affida alla scienza medica.