L’UE aveva un piano per accelerare i vaccini contro i coronavirus già nel 2017, ma le principali aziende farmaceutiche del mondo lo hanno rifiutato. Spunta il documento che lo rivela.
L’UE aveva pianificato già 3 anni fa di lavorare a vaccini a rapida localizzazione contro i coronavirus per renderli disponibili prima dello scoppio di un focolaio, ma la proposta è stata rifiutata dalle grandi case farmaceutiche.
La rivelazione, portata alla luce dal Guardian, è contenuta in un rapporto del Corporate Europe Observatory, un centro di ricerca con sede a Bruxelles che esamina le decisioni prese dall’IMI(Innovative Medicine Initiative), che viene finanziato da UE e organismi privati per un totale di 5 miliardi di euro e che lavora in partnership con la Commissione UE per sostenere la ricerca all’avanguardia in Europa. Il consiglio di amministrazione dell’IMI è composto da funzionari della Commissione Europea e rappresentanti della Federazione europea dell’industria farmaceutica (EFPIA), i cui membri fanno parte di Big Pharma come Novartis, Pfizer, Johnson & Johnson e altri.
Vaccino coronavirus: piano UE respinto da Big Pharma nel 2017
Stando a quanto svelato, il piano per accelerare lo sviluppo e l’approvazione dei vaccini è stato presentato dai rappresentanti della Commissione Europea nel 2017 ma è stato respinto dal partner del settore.
L’argomento sostenuto dalla Commissione era che la ricerca avrebbe potuto facilitare lo sviluppo e l’approvazione normativa dei vaccini contro agenti patogeni prioritari prima che si verificasse un vero e proprio focolaio. Tuttavia le aziende farmaceutiche non hanno accettato la proposta.
Questo documento è un nuovo tassello a sostegno dell’evidente impreparazione mondiale alla pandemia di coronavirus. L’industria farmaceutica era già stata accusata nelle ultime settimane di non aver dato la priorità ai trattamenti contro le malattie infettive poiché meno redditizie delle malattie croniche. Secondo i dati, la stragrande maggioranza dei progetti intrapresi dalle principali aziende farmaceutiche si sono concentrati su cancro, Alzheimer e diabete, mentre solo una minima parte alle malattie infettive.
Nessuna garanzia sul vaccino
Al momento ci sono circa 8 potenziali vaccini per il coronavirus in fase di studi clinici, ma nessuna garanzia di successo. Sembra che anche quello sviluppato dall’Università di Oxford, che è uno dei più promettenti, abbia solo il 50% di possibilità di essere approvato per l’uso sui pazienti.
Se l’IMI nel 2017 avesse appoggiato la proposta della Commissione europea, si sarebbe potuto perfezionare le simulazioni al computer, fare una migliore analisi di sperimentazione sugli animali e dare così maggiori garanzie ai regolatori che devono approvare i vaccini.
Il rapporto del COE afferma che, anziché compensare i fallimenti del mercato accelerando lo sviluppo di farmaci innovativi, “l’IMI come al solito si è occupato principalmente di ciò che è più redditizio”. L’IMI ha anche deciso di non finanziare progetti con la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, una fondazione che cerca di affrontare le malattie prioritarie per il progetto come Mers e Sars, entrambi coronavirus.
Il COE afferma inoltre che, a causa del dominio dei Big Pharma nell’IMI, vi sono significative lacune nel finanziamento della ricerca sulle malattie individuate dal Rapporto dell’OMS per l’Europa e il mondo in termini di importanza per la salute pubblica, per le quali non esistono trattamenti farmaceutici o questi sono ancora inadeguati.
L’IMI si è difesa dalle accuse: un portavoce ha affermato che circa un terzo del budget è stato speso per la ricerca su malattie infettive, tra cui la resistenza antimicrobica, i vaccini, l’Ebola e la tubercolosi, e che altri fondi sono stati spesi per progetti trasversali di sviluppo dei farmaci.
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