La recente sentenza di una Corte d’appello americana rischia di «essere il primo passo nello smantellamento giudiziario del sistema regolatorio farmaceutico statunitense»: sono tre esperti di Harvard a firmare un articolo in cui esprimono profonda preoccupazione per le conseguenze della decisione di consentire la promozione off-label dei farmaci da parte delle aziende
La recente sentenza di una Corte d’appello americana rischia di «essere il primo passo nello smantellamento giudiziario del sistema regolatorio farmaceutico statunitense»: sono tre esperti di Harvard a firmare sulla rivista Jama dell’American medical association un articolo in cui esprimono profonda preoccupazione per le conseguenze della decisione di consentire – nel nome della libertà di parola – la promozione off-label dei farmaci da parte delle aziende. Aaron Kesselheim e colleghi della Divisione di farmacoepidemiologia e farmacoeconomia della Harvard school of medicine ricostruiscono la vicenda giudiziaria di Alfred Caronia, che nel 2005 fu sottoposto a indagini per violazione delle norme della Food and drug administration per aver – in accordo con l’azienda per cui lavorava – vantato l’innocuità e i benefici di un farmaco anche per molte indicazioni non approvate, a dispetto di una specifica avvertenza contenuta sul foglietto illustrativo riguardo alla mancanza di studi di sicurezza in quelle sottopopolazioni. L’azienda, la Orphan medical, si dichiarò subito colpevole, mentre Caronia fu condannato pur continuando a sostenere che non doveva essere punito per avere espresso il proprio pensiero, e su questa base fece appello. Dopo varie decisioni contrarie di corti intermedie, nello scorso dicembre la linea di difesa ha infine trovato ascolto presso la Corte d’Appello. Secondo la giuria (che si è divisa in un voto 2 a 1) le limitazioni alla libertà di espressione individuale si giustificano solo quando servono a difendere e promuovere in modo diretto e concreto un interesse pubblico, e solo nei limiti in cui queste limitazioni sono necessarie. In sostanza, secondo i giudici il governo dispone di altri strumenti (tra cui una maggiore educazione dei medici e dei pazienti per distinguere tra scienza e marketing) per ottenere gli stessi risultati senza imporre divieti. «La visione che emerge prevede di proteggere sempre più la libertà di espressione anche delle aziende, a livello commerciale, e questo potrebbe dimostrarsi incompatibile con la regolamentazione della promozione dei farmaci» spiegano Kesselheim e colleghi, esprimendo l’auspicio che le corti superiori – e in ultima istanza la Corte Suprema – se ne rendano conto: «L’approccio attuale alla regolamentazione della promozione dei farmaci, raffinato da un’enorme esperienza clinica e regolatoria, è giustificabile dal punto di vista scientifico e legale e ha prodotto per decenni benefici a medici e pazienti» concludono. «Ora non dovrebbe essere abbandonato».