“Ripartire dall’informazione scientifica”,
“Grande rigore nella verifica delle fonti”,.
“Deontologia ‘rafforzata’ per il giornalista che parla di medicina/salute”,
“Maggiore dialogo fra mondo accademico e mondo dell’informazione”.
Sono alcuni dei più significativi e stringenti concetti espressi in un position paper in 10 punti realizzato da Unamsi – l’Associazione dei giornalisti che si occupano principalmente di Salute, Sanità, Ricerca biomedica – e dal Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sezione Terza Missione e Comunicazione, Sapienza Università di Roma, con lo scopo di superare i limiti denunciati da un’informazione troppo spesso inadeguata, imprecisa, a volte falsa, sempre sovrabbondante nei due anni passati a contatto con la pandemia da Covid-19.
Non a caso l’Oms ha parlato di infodemia, che secondo l’Enciclopedia Treccani corrisponde alla “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”.
Uno dei fattori che hanno concorso a causare questa mala informazione è anche identificabile in una situazione che non ha paragoni con il passato. In questi due anni, infatti, un virus inatteso, sconosciuto, pericolosissimo, ha preso alla sprovvista e coinvolto in un dibattito serrato i medici, i ricercatori, le istituzioni e di riflesso anche i giornalisti, che hanno il compito di fare da intermediari con il pubblico, con i cittadini sempre più interessati a un’informazione corretta e completa. Che non c’è stata. E Internet e i social, vetrine di una informazione non controllata nella sua correttezza, hanno poi aggravato il problema dell’infodemia. Questi nuovi strumenti divulgativi hanno anzi superato i riferimenti scientifici diventando pericolosamente, agli occhi di un vasto pubblico, più attendibili dei medici e di coloro che si occupano di salute e ricerca. Per questo il position paper di Unamsi – Sapienza, nei suoi 10 punti, propone una riflessione sul ruolo che i giornalisti, il mondo accademico e i media possono svolgere per ripensare l’informazione scientifica del prossimo futuro. Perché la divulgazione della scienza, in particolare quando si affrontano temi medici e sanitari, richiede l’adozione dei più alti standard qualitativi del giornalismo in quanto le informazioni veicolate sui media possono avere un impatto significativo sui comportamenti della popolazione.
Ma ci vuole anche un maggiore dialogo tra mondo accademico e mondo dell’informazione, al fine di formare gli “esperti” sulle regole da seguire per una comunicazione più efficace, ma anche formare e aggiornare i giornalisti sui progressi della ricerca in una visione quanto più possibile evidence based, basata cioè su solidi dati scientifici. In ogni caso, uno dei punti cardine è il grande rigore nella verifica delle fonti. Perché dopo l’esperienza della pandemia occorre iniziare a ragionare in termini di evidence based journalism. Che cosa significa? Significa che non solo ogni notizia deve basarsi su fonti autorevoli (studi pubblicati), ma che prima di dare una notizia occorre che il giornalista si documenti sullo stato dell’arte della ricerca nel settore che si vuole raccontare, in modo da poter inquadrare il messaggio all’interno di un contesto più ampio.
E’ importante infine sottolineare che la contrapposizione di opinioni e evidenze scientifiche, cioè la tendenza di molti media televisivi, in questi due anni di pandemia, a cercare l’effetto spettacolo del talk-show, contrapponendo personaggi noti al grande pubblico o presunti ricercatori ‘indipendenti’ a scienziati che lavorano nelle università e nelle istituzioni ha danneggiato la corretta informazione scientifica e ha generato confusione e sfiducia nel pubblico.
«Per fare tesoro degli errori e delle sottovalutazioni che hanno caratterizzato questo periodo – afferma Franco Marchetti, presidente Unamsi – abbiamo cercato di realizzare un documento che possa chiarire le competenze e il ruolo dei giornalisti, del mondo accademico e in generale dei media per ripensare a una corretta informazione scientifica per il prossimo futuro». «È necessario considerare che i tempi della ricerca scientifica sono diversi, e soprattutto più lunghi, di quelli che caratterizzano l’informazione – spiega Claudio Mastroianni, Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma – ed è bene sottolineare che un solo articolo scientifico non è da considerarsi una verità assoluta anche se pubblicato da una rivista scientifica con un forte ‘impact factor’. Ogni lavoro di ricerca aggiunge un tassello al sapere e se una nuova ricerca smentisce quella precedente non è una contraddizione. Un giornalista deve sempre inquadrare uno studio pubblicato nella corretta dimensione, trasferendo al pubblico il messaggio che il progresso scientifico non è una successione di assoluti».
Fonte: Panorama della Sanità – 27 maggio 2022
Ordine dei giornalisti – Codice deontologico
Nota:
Il termine Infodemia coniato dall’Oms per indicare quell’«abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno» non riesce però ad esaurire la descrizione dei fenomeni che, ormai strutturalmente nella civiltà della informazione, condizionano la nostra mente, catalizzano la nostra attenzione, sfuggono alla comprensione ed alla capacità di elaborazione.
Ci riferiamo ad alcune campagne, finanziate e sostenute sui social media per una distribuzione su larga scala, che riguardano la possibilità che prodotti o società quotate, possano prevenire, individuare o curare una malattia, per stare all’ambito medico-scientifico.
Ovviamente a queste informazioni non confermate i mercati reagirebbero e potrebbero far impennare o crollare i titoli del settore. E’ lo schema “pump-and-dump” ben noto ai truffatori ed anche alle autorità di vigilanza: si fanno circolare notizie estremamente ottimistiche, si beneficia del rialzo dei titoli e, prima della inevitabile smentita e del crollo, si vende lasciando gli sprovveduti con un pugno di mosche in mano, configurando una vera a propria frode.
Secondo le neuroscienze un diluvio di informazioni tendenziose che toccano le nostre paure e parlano alla nostra parte emotiva, sono notevolmente più efficaci delle notizie suffragate da razionali circostanze oggettive. La ragione non è lontana ma nascosta nei meccanismi di funzionamento del nostro cervello, in cui la parte limbica, associata all’emotività, consuma una quantità di glucosio pari a tre volte quella consumata dalla corteccia cerebrale, frutto dell’evoluzione degli ultimi due milioni di anni, a cui dobbiamo capacità di calcolo e astrazione. Ma evidentemente meno forte della parte limbica nel mantenere la nostra concentrazione.
Questi gli elementi chiave, secondo i ricercatori, per analizzare le dinamiche che mettiamo in atto quando processiamo le informazioni :
- confirmation bias, cioè la tendenza a cercare informazioni che confermino le nostre convinzioni e ignorare informazioni contrastanti;
- echo chamber, ovvero la creazione di comunità omofile che condividono una stessa narrativa (visione), rinforzandola;
- polarizzazione.