Il Tar riconosce a una mamma il diritto di restare a casa per il periodo massimo consentito: il suo rientra tra i lavori «pericolosi, faticosi e insalubri». «Il lavoro dell’informatore scientifico si svolge negli studi medici e nei reparti ospedalieri, in luoghi cioè ove il contatto e il contagio con fattori nocivi di ordine biologico sussiste»
di Piero Rauber 14 luglio 2014 – Il Piccolo
Una neomamma che fa la “rappresentante” di medicine, e deve per questo frequentare ambulatori e ospedali, secondo il Tribunale amministrativo ha il diritto di restare a casa, continuando a beneficiare della relativa indennità di maternità, per sette mesi dopo la nascita del bambino, ovvero il lasso di tempo post-parto più lungo che la legge consenta nei soli casi dei cosiddetti «lavori pericolosi, faticosi e insalubri». Motivo: non v’è certezza che non respiri in un ambiente o non entri in contatto con cose o persone che potrebbero farle contrarre qualche malattia o farle assorbire qualche sostanza in grado di danneggiare la salute sua e del bimbo che, presumibilmente, allatta.
È destinata a fare, come si suol dire, giurisprudenza, a costituirne insomma un precedente, la sentenza emessa di recente dai giudici del Tar di casa nostra che dà torto alla Scharper Spa, la società farmaceutica internazionale che aveva presentato un paio d’anni fa ricorso contro un provvedimento firmato dalla Direzione territoriale di Trieste del Ministero del Lavoro. Tale atto, ora dunque confermato per via giudiziaria, aveva autorizzato un’informatrice scientifica della stessa Scharper – la triestina M.V., rappresentata davanti al Tar dall’avvocato Alessandra Dapas – ad astenersi appunto dal lavoro fino al settimo mese successivo al parto. La Direzione del Lavoro – si legge nella sentenza del Tar – aveva assunto una simile decisione dopo aver chiesto un apposito «parere» all’Azienda sanitaria, che «per ben due volte si è espressa nel senso che tale tipologia di attività, in quanto destinata ad essere esercitata in studi medici e/o in reparti ospedalieri, determina la possibile esposizione della puerpera a rischio biologico, con ipotizzabili conseguenze negative anche a carico della prole».
La società farmaceutica aveva deciso di impugnare il provvedimento della “filiale” ministeriale triestina, obiettando come quello dell’informatore scientifico «non possa essere considerato un lavoro pericoloso, insalubre o faticoso, per il quale operi la tutela normativa invocata dalla lavoratrice», in quanto «al di fuori delle ipotesi tassativamente fissate» dalla normativa stessa, e avanzando pure richiesta di «risarcimento» alla Direzione del Lavoro poiché firmataria di una decisione «lesiva del proprio interesse economico, dovendo corrispondere l’indennità di maternità per sette mesi, anziché per tre, e del proprio interesse produttivo, dovendo riorganizzare la propria rete di informatori scientifici». Eppure – la replica del legale di M.V. – «il datore di lavoro viene tenuto indenne dall’Inps delle somme erogate, e comunque non avrebbe potuto contare sulla prestazione della lavoratrice che aveva in precedenza fatto domanda di astensione facoltativa dal lavoro (con decurtazione consenziente dell’assegno, ndr) per il medesimo periodo».
Schermaglie a parte, secondo il Tar «il combinato disposto» degli articoli del Decreto legislativo del 2001 che regola la materia dice che «la lavoratrice-madre può essere dispensata dal lavoro per un periodo massimo di sette mesi successivi al parto quando, tra l’altro, le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli per la salute della donna e del bambino. La formula, volutamente elastica perché diretta a tutelare diritti costituzionalmente riconosciuti quali quello alla maternità in costanza del rapporto di lavoro e quello alla salute della puerpera e della prole, non può essere ricondotta entro il perimetro delle elencazioni. Spetta all’amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, valutare se le condizioni ambientali e di lavoro siano tali da porre in pericolo la salute della puerpera o pregiudicare il pieno svolgimento dei compiti parentali». Morale: davanti alla decisione della Direzione del Lavoro e al doppio parere della «Struttura complessa Prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro della Ass 1, organo dotato di adeguata competenza tecnica» – secondo cui «vi erano rischi per il puerperio in considerazione della circostanza che il lavoro dell’informatore scientifico si svolge negli studi medici e nei reparti ospedalieri, in luoghi cioè ove il contatto e il contagio con fattori nocivi di ordine biologico sussiste» – il Tar «reputa il provvedimento qui impugnato non suscettibile di censura, sostenuto da motivazione sufficientemente ragionevole e logica».
@PierRaub
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