Azienda – Cassazione Lavoro: nessun trasferimento se la realtà è stata creata ad hoc e non vi è know-how
Filo Diritto- 28 marzo 2018 – Lorenzo Pispero
La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di trasferimento di ramo d’azienda, lo stesso non sussiste se contestualmente al trasferimento dei lavoratori non si riscontri anche il trasferimento di un determinato know-how, patrimonio di conoscenze, maturato in azienda, che deve essere individuato in una particolare specializzazione del personale trasferito, essendo indispensabile la conservazione dell’identità economica. La realtà trasferita, inoltre, non deve essere stata creata in occasione della cessione ma deve essere preesistente.
Il caso in esame
La Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale del luogo, aveva accertato la sussistenza senza soluzione di continuità del rapporto di lavoro tra una casa farmaceutica e due informatori medico-scientifici, i quali erano stati assegnati ad un ramo d’azienda, ceduto ad una società, poi dichiarata fallita. I giudici di merito avevano, dunque, condannato la casa farmaceutica al ripristino del rapporto di lavoro con i due lavoratori.
La Corte territoriale aveva escluso che nel caso di specie potesse configurarsi una legittima cessione di ramo d’azienda, in difetto del requisito di preesistenza per la discontinuità della sua attività presso la cessionaria.
Avverso la suddetta decisione, la casa farmaceutica soccombente proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, tra i vari motivi di gravame, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2112 del Codice Civile per esclusione della nullità della cessione del ramo d’azienda in difetto del requisito di preesistenza, in quanto non più necessario a norma del novellato testo dello stesso articolo e in presenza di una lieve modificazione dell’attività dei lavoratori con esso trasferiti. Inoltre, secondo il ricorrente il giudicante aveva omesso di rilevare che ad essere trasferita era stata un’intera linea di attività nella sua residua consistenza, assieme ad un know-how “consistente in un insieme di conoscenze generali, anche non specialistiche, coerente con il bagaglio professionale di informatori medico-scientifici quali i lavoratori del ramo d’azienda ceduto”.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso proposto infondato, ribadendo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui “ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’articolo 2112 del codice civile, anche nel testo modificato dall’articolo 32 del Decreto Legislativo n. 276/2003, costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente”
Pertanto, non si configura un ramo d’azienda suscettibile di cessione “in difetto di preesistenza di una realtà produttiva autonoma e funzionante”. Tale nozione giuridica, non mutata dal citato articolo 32 del Decreto Legislativo n. 276/2003, presuppone la conservazione dell’identità dell’unità produttiva e preclude “l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonomia ed obiettiva funzionalità”.
Né, a giudizio della Corte, nel caso di specie ricorrevano i presupposti di configurazione di un ramo d’azienda per il trasferimento di un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze stabilmente coordinati e organizzati fra di loro, tali da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili, dato che, con la cessione, non si era proceduto parimenti a trasferire un know-how individuabile in una particolare specializzazione del personale trasferito, tenuto conto che ad essere trasferita non era stata un’intera linea di attività ma la rete di informatori medico-scientifici di determinati farmaci prodotti dalla casa farmaceutica.
Per queste ragioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e condannato la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
(Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, Sentenza 24 gennaio 2018, n. 1769)