MENARINI dichiara guerra ai farmaci generici. Gli altri industriali frenano l’allarme. «LA norma che impone al medico di indicare sulla ricetta il principio attivo e non il nome commerciale dei farmaci è una coltellata alla schiena dei lavoratori italiani. Le nostre aziende perdono il 10% dei ricavi in sole due settimane di agosto dopo l’entrata in vigore della regola. Saremo costretti a fare manovre straordinarie che coinvolgeranno centinaia di dipendenti». Prima all’ inaugurazione dell’ asilo Menarini [nella foto, l’inaugurazione], poi in un’ intervista, da qualche giorno Lucia Aleotti, vice presidente del gruppo farmaceutico fiorentino, spara a palle incatenate contro la «norma pro generici», scavalcando per durezza di toni e obiettivo le uscite della stessa Farmindustria di cui è vicepresidente. Aleotti agita ripercussioni sull’ occupazione, argomento sensibile in Toscana, dove l’ industria farmaceutica dà lavoro a 7mila addetti diretti e 4mila nell’ indotto, produce 5,2 miliardi di fatturato. Ma le altre industrie presenti nella regione frenano l’ allarme Aleotti sulle conseguenze di una norma fatta per alleviare la spesa della famiglie come indirettamente ammette la stessa vice presidente di Menarini: «Lo Stato non ci guadagna nulla perché paga le medicine di marca al prezzo dei generici e la differenza (0,90 euro di media) è a carico del consumatore». Menarini, che tra il 2011 e il 2012 ha perso il 37% del fatturato realizzato in Italia compensando con i ricavi all’ estero, subisce la concorrenza dei generici perché molti suoi farmaci di marca non sono più coperti da brevetto. La difesa di questi prodotti è già costata grattacapi ai suoi patron: Alberto e Lucia Aleotti sono sotto inchiesta per corruzione col senatore Pdl Cesare Cursi che – secondo la procura di Firenze – nella funzione di parlamentare si sarebbe attivato per ottenere l’ approvazione di una norma che tutelasse i farmaci di marca a scapito dei generici. E proprio questa asprissima difesa da parte degli Aleotti sembra marcare la differenza con gli altri industriali toscani, anche in relazioni a previsioni, meno drammatiche, che questi ultimi fanno sul crollo dei fatturati interni e sulle ripercussioni occupazionali della «norma pro generici». «Non vale per noi» dice in proposito Giuseppe Seghi Recli, ad di Molteni farmaceutici, sede e stabilimento centrale a Scandicci, prodotti d’ avanguardia nella terapia del dolore. «In primo luogo perché siamo attivi in aree terapeutiche molto specialistiche con prodotti destinati per il 55% agli ospedali. E poi perché in Molteni l’innovazione non si ferma e ci consente di mandare sul mercato prodotti unici e che per questo non subiscono la concorrenza dei generici». Il tema dell’ obbligo di prescrizione dei principi attivi come presunto macigno sull’ industria farmaceutica non scalda neppure Novartis, colosso dei vaccini con stabilimento a Siena, il cui ufficio stampa sterza su altre questioni: «I problemi dell’ industria farmaceutica suscitano una riflessione più ampia che esula dal tema dell’ obbligo di prescrizione del generico». Quali siano almeno alcuni di questi problemi lo spiega Concetto Vasta, direttore affari istituzionali Eli Lilly Italia, il colosso che di recente ha assunto e investito molto nello stabilimento di Sesto Fiorentino per puntare sull’ insulina. «L’obbligo di prescrivere il generico non ci danneggia perché abbiamo farmaci innovativi» sgombra intanto il campo Vasta. «Avve
513 2 minuti di lettura