Dobbiamo dire ai colleghi che si profila un taglio del 20% dello stipendio per molti di noi, e che bisognerebbe modificare alcuni passaggi della legge per evitare di accettare il capestro
Mercoledì, 17 Dicembre 2014 – Doctor33
Diminuiti gli stipendi dei medici di famiglia? In una misura penso inferiore all’8% dichiarato, però il peggio deve venire. Angelo Testa presidente dello Snami non si spiega la contrazione dei redditi dei medici convenzionati pari all’8% tra 2012 e 2013 estrapolata dall’Associazione delle casse previdenziali private Adepp nei giorni scorsi né con un numero di accessi alla professione inferiore ai pensionamenti, né con un crollo del reddito.
È chiaro che il costo della vita per alcune voci è cresciuto, e che i nostri stipendi si contraggono. Ma dev’essere ancor più chiaro che con la convenzione che qualche sindacato si agita per firmare i redditi crollerebbero ancora, in costanza di esodi crescenti e con la necessità di remunerare di più i medici di famiglia anziché di meno.
Quindi Testa e lo Snami non hanno nessuna fretta anche se è confermata la “wild card” per entrare in agitazione. «Ma per motivi opposti a quelli per i quali è in agitazione Fimmg. Noi – spiega Testa – non vogliamo questa convenzione “senza aumenti”, perché porterà gravi perdite reddituali ai medici.
E non vogliamo contrattare sulla base della legge Balduzzi perché è lei a prevedere il taglio alle indennità di personale, associazionismo e informatica che ci verrebbe proposto a partire dal 1° gennaio 2016: firmare una convenzione su quella legge vuol dire per i medici di famiglia licenziare collaboratori, e impoverirsi in concomitanza con un rialzo dell’aliquota Enpam.
Dobbiamo dire ai colleghi che si profila un taglio del 20% dello stipendio per molti di noi, e che bisognerebbe modificare alcuni passaggi della legge per evitare di accettare il capestro. Crediamo sarebbe un successo già smussare le parti della Balduzzi che mettono a rischio la sopravvivenza delle cure territoriali o ritardarne gli effetti».
Testa torna sulla convenzione: «Non sono definiti passaggi essenziali del ruolo unico, che non è realizzabile mettendo sullo stesso paziente un medico pagato a quote capitarie per l’equivalente di 38 euro all’ora e uno pagato 25 euro all’ora; in quel modo creeremmo una concorrenza con un esito devastante.
Visto che il Ssn non può permettersi di pagare il medico a quota oraria come quello a quota capitaria l’alternativa qual è? E poi, se un medico ha una sede in casa sua, ed è “sospinto” verso un’aggregazione diffusa, dove lo mette il collega a quota oraria?»
Con l’agenzia contractor delle regioni, la Sisac, il dialogo è interrotto (e questo è fin qui un punto in comune con i sindacati Fimmg e Smi). «Snami chiedeva di leggere l’intero articolato prima di firmare e non di siglare articolo per articolo. A noi non sta bene impuntarci su singoli articoli senza avere il “combinato disposto” con la legge Balduzzi che è la madre dei nostri problemi. Evidentemente la Sisac non vuol dare il resto dell’articolato o non ne dispone».
Notizia correlata: Redditi medici, dai dipendenti ai convenzionati calano per tutti
La lettera, Smi: da Fimmg prese di posizione erronee
Mercoledì, 17 Dicembre 2014 – Doctor33
Gentile Direttore
con riferimento al vostro articolo “Corti (Fimmg), erronei i dati usati per portare Mmg a dipendenza” (11/12) è necessario ribadire alcuni elementi sulla recente ricerca del Centro Studi Smi sugli stipendi dei Mmg e dei colleghi ospedalieri, per evitare che si ripetano alcune erronee prese di posizione di qualche politico (e di qualche poco disinteressato “competitor” sindacale). Quel lavoro, come messo in evidenza da più testate compresa la vostra, vuole denunciare quanto obsoleti e artefatti siano i meccanismi di calcolo che derivano dalla Convenzioni vigenti per la medicina di famiglia, e contemporaneamente far rilevare come il rapporto tra assistiti, ore di lavoro e compensi non risponda alla vera attività del medico di famiglia. Quest’ultimo, oltre all’apertura ambulatoriale per 5 giorni a settimana, garantisce l’assistenza sul territorio anche in relazione all’aumento delle cronicità e della popolazione anziana (visite domiciliari, assistenza domiciliare programmata, consulti con specialisti ecc) con un carico di lavoro che va al di là delle 15 ore minime contrattuali effettuate in ambulatorio; si stima, per un massimalista, un impegno per almeno 48 ore settimanali. Pertanto, senza i giusti contrappesi nessun confronto stipendiale può essere fatto tra medici che rispondono a diverse forme contrattuali: il contratto della dipendenza e l’accordo collettivo dei liberi professionisti parasubordinati a quota capitaria dei medici di famiglia. Diversa è la tassazione e la struttura: lo studio, con relativi oneri di tassazione e gestione, è del professionista e non viene messo a disposizione da parte della Asl. Diverse sono le tutele: ferie, primi giorni di malattia, sostituzioni a completo carico del medico di famiglia. Quindi alla quota stipendiale del medico di famiglia va sottratto almeno il 40%. Non a caso il costo, sostenuto da parte dello Stato/Regioni per la medicina convenzionata è di gran lunga inferiore a quello della dirigenza (6.11% versus 10,76%). Con queste premesse, quindi, le stime del nostro Centro studi vanno nella direzione opposta alle tesi del consigliere regionale Silvio Bottacin che, invece, prende in considerazione il costo grezzo delle spese per i convenzionamenti in Veneto e arriva a paventare che il nostro personale implichi ulteriori spese per la regione e conseguenti entrate per i medici convenzionati, senza comprendere che la quota per infermiera e collaboratore di studio (quota non accessibile a tutti i medici di famiglia per mancanza di fondi regionali aggiuntivi) è una partita di giro per il medico e non un guadagno. Siamo convinti che il rimedio proposto, l’assunzione dei medici di famiglia senza tener conto di questa complessità, è quantomeno velleitario, anzi sbagliato. Lo Smi ha sempre affermato che tutto il settore dell’area medica è in sofferenza sia economica sia strutturale; ricorso a contratti atipici che aggravano la precarietà e l’incertezza sul futuro, blocco dei contratti e delle assunzioni, riduzione dei posti letto, destrutturazione delle cure primarie, della rete capillare degli studi, del rapporto fiduciario, burocratizzazione del lavoro, mancato riconoscimento delle tutele, mancata omogeneizzazione degli istituti giuridici sono i veri nodi da affrontare sia negli ospedali che sul territorio.
Enzo Scafuro
Responsabile Nazionale Smi per la medicina generale