In cima alla lista degli enti insolventi ci sono Lazio e Campania. Nella sanità sono i cittadini a pagare gli interessi sui ritardi. Il vincolo del patto di stabilità spesso è una scusa
Milano – Per comprendere il dramma delle imprese che non ricevono quanto dovuto per i servigi resi allo Stato bisogna scavare nel «buco nero» della sanità.
Sul monte di 90-100 miliardi di debiti accumulati dagli enti pubblici nei confronti delle aziende circa 37 miliardi di euro (ma secondo alcune stime si sarebbe già superata la soglia dei 40 miliardi) sono ascrivibili al Servizio sanitario nazionale, cioè alle Regioni che hanno la competenza su Asl, ospedali e centri di ricerca universitari.Il resoconto impietoso l’ha fornito la Corte dei Conti al Parlamento nella relazione sulla finanza locale. Si tratta di uno sbilancio che ha superato i 50 miliardi di euro (oltre 100mila miliardi delle vecchie lire).
Come detto sopra, per la gran parte è rappresentata dal sistematico rinvio del saldo delle fatture ai fornitori di beni e servizi (come protesi, macchinari, materiale sanitario, lavanderia, catering, eccetera).La classifica è guidata da due Regioni che sono state «commissariate», cioè sottoposte a piani di rientro del debito certificati e testati dal governo di Roma. Il Lazio con 7,5 miliardi e la Campania con 6,5 miliardi hanno registrato la peggiore performance finanziaria. La cattiva abitudine di non pagare o saldare «a babbo morto», però, non ha un colore politico. Per cui troviamo con circa 3 miliardi di sbilancio sia la rossa Emilia Romagna che il Veneto a trazione leghista. Così come a quota 2 miliardi c’è la Puglia «vendoliana» e la Sicilia «lombardiana». E che dire della Calabria la cui voragine sanitaria è stata certificata dai magistrati contabili solo nel 2011: a Cosenza e Reggio le aziende che lavorano con la sanità aspettano e sperano che a Catanzaro si decidano a versare gli 1,7 miliardi dovuti. Come documentato dal Giornale ie