Era l’inizio di gennaio 2006 e in una sede che già era tutto un programma, il palazzo di Giustizia di Milano, la denuncia non fu affatto casuale. Truffe, cartelle cliniche taroccate, arditi dribbling degli amministratori per moltiplicare gli incassi a spese del Ssn. Con una cifra che fece sobbalzare sulla sedia presidente della Corte d’appello e procuratore generale di Milano e i responsabili della Corte dei conti e della Guardia di Finanza: l’uso truffaldino delle tariffe ospedaliere che per tante ragioni, anzitutto l’inappropriatezza dei ricoveri, costerebbe 5 miliardi l’anno alle casse dello Stato. Una manovra sanitaria evitabile.
Tecnicamente si chiamano Drg – diagnosis related groups – in soldoni si tratta del sistema di pagamento a prestazione delle prestazioni ospedaliere. Nella Ue, chi col necessario aggiornamento e chi no (e noi siamo nel gruppo di coda), sono ormai il vangelo. In Italia, quando nel 1994 vennero adottati non senza mal di pancia in un universo sanitario abituato ad adagiarsi su lauti incassi garantiti a occhi chiusi, fecero storcere la bocca a tanti. Erano gli anni del (quasi) post sanitopoli, si decise di cambiare marcia subito. Dando lo stop finale al famigerato rimborso a pie’ di lista: tanto ho speso, tanto il Ssn mi rimborsa. Comodo, troppo comodo.
Va da sé che nel tempo il modo di aggirare i Drg appena messi a punto e continuare così a lucrare ottimi guadagni, fu presto trovato. Interpretando a proprio comodo la legge o con vere e proprie truffe: ricoveri ripetuti, diagnosi false, medici e amministratori compiacenti e ingordi. Non sempre, sia chiaro. Ma abbastanza spesso, come dimostrano le cronache di questi anni, con ripetuti casi proprio in Lombardia. Anche la settimana scorsa in una struttura del San Raffaele di Don Verzè.
Fatto sta che in Italia la sanità in qualche modo già è "federale". Ogni Regione è un’isola a sé. Col Nord al top della qualità e dei servizi e un Sud in assoluta retroguardia, come dimostrano i viaggi della speranza in cerca di quelle cure che sotto casa non sono garantite. E il "fai-da-te" regionalista vale anche per i Drg. Sia chiaro: dipende anche dalle scelte di politica sanitaria locale, dalla decisione di erogare i servizi in un modo piuttosto che in un altro; dipende anche dalla maggiore o minore presenza dei privati verso i quali cresce e anzi si moltiplica la voglia di regressione tariffaria e di tetti davanti al crescere delle spese e delle prestazioni. Insomma, non solo truffe: ci sono ragioni tecniche ed economiche che possono spiegare i diversi valori delle tariffe (che includono tutti i servizi di un ospedale, personale, farmaci, ammortamento di tecnologie e infrastrutture).
Ma sicuramente, come venne denunciato proprio a Milano nel gennaio di due anni fa, non tutto è sempre giustificabile: un’appendicite semplice può costare da 2.242 a 5.549 euro, l’esportazione della colicisti da 2.496 a 5.051 euro, un parto senza complicanze da 14.486 a 9.456 euro, un parto cesareo da 9.456 a 11.906 euro, un intervento sul cristallino da 3mila a 5.289 euro. E via così, una vera e propria giungla. Dove chi vuole male aggirarsi, ha facile gioco.
Va da sè che i Drg non sono minimamente paragonabili al pie’ di lista d’un tempo rimborsato a scatola chiusa. Ma vanno aggiornati, i medici vanno educati anche eticamente, servono linee guida. E serve omogeneità regionale. Proprio quel che manca. I risultati di questi anni dicono che le giornate di degenza per ricovero negli ospedali sono calate da 7,2 del 1997 a 6,7 del 2005. La spesa ospedaliera pubblica (costi del personale esclusi) è passata dal 32,6% sul totale della spesa sanitaria del 2001 al 47,4% del 2007, meno della crescita del Fondo nazionale. Mentre l’ospedaliera accreditata dal 9,1% del 2004 è scesa all’8,8 del 2007. E que
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