Dopo la presentazione dei piani di rientro di Liguria, Calabria e Lazio, si va diffondendo il ricorso a una regionalizzazione dell’assistenza farmaceutica, malgrado le puntualizzazioni dell’AIFA. Sul tema interviene ora un’analisi del CERM – Competitività, Regolazione, Mercati
Il tratto più saliente dell’attuale scenario dell’assistenza farmaceutica è senz’altro il ricorso a una sorta di prezzo di riferimento regionale, basato non sull’equivalenza chimica (medesimo principio attivo, medesimo prezzo rimborsato) ma per classi ATC. Per ora, nelle regioni citate, la misura è stata attuata soltanto nel caso degli inibitori di pompa protonica o PPI, con la decisione di rimborsare interamente soltanto il prezzo dell’unico generico disponibile, e di addebitare al cittadino la differenza rispetto agli altri farmaci della classe.
Sul tema era intervenuta già l’AIFA, con la nota numero 50 del 9 febbraio 2007, nella quale veniva espressa “vivissima preoccupazione in quanto l’adozione di prezzi di riferimento stabiliti dalle singole regioni ai fini della rimborsabilità dei medicinali, introducono differenziazioni da Regione a Regione in merito ai prezzi di rimborso e alla accessibilità gratuita dei farmaci”. Viene ora un’analisi del CERM, centro di ricerche indipendente, che riprende la materia con toni piuttosto allarmati. Posto che una certa variabilità tra le regioni possa essere dovuta difformità nella distribuzione dei farmaci nelle diverse realtà, che comunque andrebbero sanate, “quello che si sta verificando” si legge nell’editoriale di Fabio Pammolli e Chiara Bonassi “è qualcosa di ben più rischioso, ovvero un uso distorto dello strumento del prezzo di riferimento da parte di alcune Regioni attraverso un’autonoma ridefinizione dei gruppi di equivalenza su cui applicare il prezzo massimo di rimborso”. Secondo gli autori, questa tendenza si traduce nella moltiplicazione delle spinte alla differenziazione delle regole di rimborso e di funzionamento dei mercati tra Regioni. “Questa eterogeneità non solo getta, in alcuni casi, dubbi sull’equivalenza terapeutica di alcuni prodotti, ma produce ulteriori effetti distorsivi”.
Il tratto più saliente dell’attuale scenario dell’assistenza farmaceutica è senz’altro il ricorso a una sorta di prezzo di riferimento regionale, basato non sull’equivalenza chimica (medesimo principio attivo, medesimo prezzo rimborsato) ma per classi ATC. Per ora, nelle regioni citate, la misura è stata attuata soltanto nel caso degli inibitori di pompa protonica o PPI, con la decisione di rimborsare interamente soltanto il prezzo dell’unico generico disponibile, e di addebitare al cittadino la differenza rispetto agli altri farmaci della classe.
Sul tema era intervenuta già l’AIFA, con la nota numero 50 del 9 febbraio 2007, nella quale veniva espressa “vivissima preoccupazione in quanto l’adozione di prezzi di riferimento stabiliti dalle singole regioni ai fini della rimborsabilità dei medicinali, introducono differenziazioni da Regione a Regione in merito ai prezzi di rimborso e alla accessibilità gratuita dei farmaci”. Viene ora un’analisi del CERM, centro di ricerche indipendente, che riprende la materia con toni piuttosto allarmati. Posto che una certa variabilità tra le regioni possa essere dovuta difformità nella distribuzione dei farmaci nelle diverse realtà, che comunque andrebbero sanate, “quello che si sta verificando” si legge nell’editoriale di Fabio Pammolli e Chiara Bonassi “è qualcosa di ben più rischioso, ovvero un uso distorto dello strumento del prezzo di riferimento da parte di alcune Regioni attraverso un’autonoma ridefinizione dei gruppi di equivalenza su cui applicare il prezzo massimo di rimborso”. Secondo gli autori, questa tendenza si traduce nella moltiplicazione delle spinte alla differenziazione delle regole di rimborso e di funzionamento dei mercati tra Regioni. “Questa eterogeneità non solo getta, in alcuni casi, dubbi sull’equivalenza terapeutica di alcuni prodotti, ma produce ulteriori effetti distorsivi”.
Questi effetti sono, in primo luogo, quelli indicati dall’Agenzia del farmaco, che vertono sul venir meno dell’uniformità di trattamento dei cittadini nelle diverse Regioni, quindi del concetto stesso di LEA. Ma il CERM ne segnala anche altri, maggiori costi di transazione, amministrativi e di programmazione a carico delle imprese. Si rischia, per esempio, di determinare dei costi aggiuntivi anche in termini di reperibilità e gestione adeguata delle informazioni relative alla diversa regolamentazione dei sotto- mercati regionali. Inoltre, come lamentato già da organizzazioni dei medici di medicina generale (FIMMG) si potrebbe “limitare le valutazioni di appropriatezza prescrittiva da parte dei medici, dando maggior peso a valutazioni di contenimento della spesa anziché a quelle inerenti al miglioramento dello stato di salute dei pazienti/consumatori”. Spesso a proposito del prezzo di riferimento in base alla classificazione ATC si cita l’esperienza della Germania, che ha effettivamente adottato questo criterio, ma tenendo distinti i casi dei farmaci con brevetto scaduto e quelli per i quali il brevetto è ancora vigente.
Da “farmacista33”
Da “farmacista33”