Giunto alla 56a edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase di crisi che stiamo attraversando. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto descrivendo
I grandi eventi della storia hanno fatto irruzione nelle microstorie delle vite individuali: il 61% degli italiani teme che possa scoppiare il terzo conflitto mondiale, il 59% il ricorso alla bomba atomica, il 58% che l’Italia entri in guerra. Con l’ingresso in una nuova età dei rischi, emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità, non più liquidabili come «populiste». Quella del 2022 non è una Italia sull’orlo di una crisi di nervi: si cerca una profilassi per l’immunizzazione dai pericoli correnti. Ma i meccanismi proiettivi, che spingevano le persone a fare sacrifici per essere migliori, adesso risultano inceppati e la società indulge alla malinconia. Tra de-globalizzazione e prove di friend-shoring all’italiana: il riposizionamento latente del sistema economico.
La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l’inflazione. Cresce perciò la ripulsa verso privilegi oggi ritenuti odiosi, con effetti sideralmente divisivi: per l’87,8% sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, per l’86,6% le buonuscite milionarie dei manager, per l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web, per l’81,5% i facili guadagni degli influencer, per il 78,7% gli sprechi per le feste delle celebrities, per il 73,5% l’uso dei jet privati.
La Sanità
Mentre nel decennio 2010-2019 il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8%, passando da 105,6 a 113,8 miliardi di euro, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell’1,6% nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure per fronteggiare l’emergenza Covid. Ma l’incidenza del finanziamento del Sistema sanitario nazionale scenderà al 6,2% del Pil nel 2024 (era il 7,3% nel 2020). Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10.000 residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 ogni 10.000 residenti. L’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, 47,3 anni quella degli infermieri. Il 28,5% dei medici ha più di 60 anni e un numero consistente si avvicina all’età del pensionamento. Si stima che, nel quinquennio 2022-2027, saranno 29.331 i pensionamenti tra i medici dipendenti del Ssn, 21.050 tra il personale infermieristico. Dei 41.707 medici di famiglia, saranno 11.865 ad andare in pensione (2.373 l’anno).
L’irrazionale
Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione,
una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il
Speranza sanità
Per il 61,0% degli italiani nei prossimi anni il Servizio sanitario migliorerà anche grazie alle lezioni apprese durante la pandemia. Come? Tra le cose di cui nei prossimi cinque anni ha bisogno, il 50,9% dei cittadini indica l’aumento del numero di medici di medicina generale, il 46,7% la modernizzazione di tecnologie e attrezzature diagnostiche per accertamenti, il 45,3% l’attivazione o il potenziamento dei servizi sul territorio, come le Case della salute, il 39,6% più posti letto negli ospedali, il 34,0% l’attivazione dell’assistenza domiciliare digitale (teleconsulto, teleassistenza). Inoltre, per il 93,7% degli italiani la spesa pubblica per la ricerca in salute e sanità è un investimento, non un costo. Il 94,4% si attende che ricerca scientifica e innovazione migliorino l’efficacia delle cure e la qualità della vita in caso di malattie croniche, il 92,0% che si scoprano tecniche innovative per contrastare nuovi virus e batteri, il 91,1% che si riduca il rischio di ammalarsi. Il 70,1% dei cittadini è pronto a rendere disponibili i dati sulla propria salute per studi, ricerche, sperimentazioni. E l’80,2% si aspetta che lo studio dei big data dia un aiuto concreto alla creazione di terapie e farmaci personalizzati.
Il falso che fa male: il caso dei cosmetici.
Accanto al mercato legale dei prodotti cosmetici si è sviluppato negli anni un fiorente mercato illegale di cosmetici contraffatti. Il 21% delle famiglie italiane (5,4 milioni) ha acquistato almeno una volta un cosmetico falso e il 12,9% (3,3 milioni) lo ha fatto intenzionalmente. Lo confermano i dati sui sequestri effettuati dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle Dogane, che negli ultimi dieci anni hanno sottratto dal mercato del falso 10.615.117 cosmetici contraffatti in 1.882 sequestri. Nel 2021 i cosmetici sequestrati sono stati 120.183 e nei primi sei mesi del 2022 la sola Guardia di Finanza ha intercettato 105.280 prodotti contraffatti: +83,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I cosmetici falsi non fanno male solo all’industria e all’occupazione legale, ma possono provocare gravi danni all’ambiente e alla salute dei consumatori, perché sono prodotti senza rispettare la normativa europea.
Il lavoro povero
Non è più come una volta: crisi e criticità della libera professione in Italia.
Nel 2021 il mercato del lavoro italiano conta 22,5 milioni di occupati, per la maggior parte dipendenti (17,6 milioni). Il numero dei lavoratori indipendenti scende da 5,2 milioni nel 2019 a 4,9 milioni nel 2021: -6,4%. La contrazione maggiore si rileva soprattutto per i lavoratori in proprio, che registrano una flessione del 9,8% mentre tra il 2019 e il 2021 gli imprenditori vedono la loro quota aumentare del 6,6%. I liberi professionisti (1,4 milioni nel 2021) sono diminuiti dal 2019 dell’1,8%. Secondo un’indagine del Censis, un terzo degli avvocati ha considerato l’ipotesi di abbandonare la professione (32,8%), soprattutto per i costi eccessivi che l’attività comporta cui non corrisponde una ricompensa economica adeguata (63,7%) e per il calo della clientela nel corso degli anni (13,8%). Gli andamenti dei redditi medi nella professione di avvocato evidenziano disparità di genere e di età. Da una parte, occorre sommare il reddito di due donne avvocato per avvicinarsi al livello medio percepito da un uomo (23.576 euro contro quasi 51.000), dall’altra il reddito di un avvocato con meno di trent’anni non è neanche un terzo di quello percepito dagli ultracinquantenni (circa 13.000 euro contro 45.943 euro per la fascia di età 50-54 anni).
Note: Il Censis, Centro Studi Investimenti Sociali, è un istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964.
A partire dal 1973 è diventato una Fondazione riconosciuta con Dpr n. 712 dell’11 ottobre 1973.
Il Censis svolge da oltre cinquant’anni una costante e articolata attività di ricerca, consulenza e assistenza tecnica in campo socio-economico.
L’annuale «Rapporto sulla situazione sociale del Paese», redatto dal Censis sin dal 1967, viene considerato il più qualificato e completo strumento di interpretazione della realtà italiana.