La legge 231 che individua la responsabilità aziendale in caso di coinvolgimento di dipendenti in episodi di corruzione deve essere ripensata. I protocolli per la compliance sono applicati più per limitare i danni che per prevenirli.
Contratti pubblici, incarichi e nomine, entrate e uscite. E poi ancora sperimentazioni cliniche, rapporti con i privati, valutazione e ricerca su farmaci e dispositivi medici, attività libero-professionali e liste di attesa. La sanità è “naturalmente” esposta a illeciti appetiti su cui indagano le Procure di mezza Italia e su cui l’Autorità nazionale anticorruzione pone la lente d’ingrandimento.
Lo fa con una nuova strategia ispettiva, su vecchie e nuove aree di rischio, nel tentativo di prevenire gli effetti nefasti sul buon funzionamento della cosa pubblica.
Le aziende sanitarie e ospedaliere sono al secondo posto (17,24%) nella classifica delle amministrazioni per cui l’Anac ha ricevuto più segnalazioni. In prima posizione, le Regioni e gli enti locali, su cui si è concentrato il 44,83% del “whistleblowing”.
Relazione sull’attività Anac del 2016
On line la presentazione del Presidente Cantone e la Relazione annuale
Il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, ha presentato la Relazione sull’attività svolta dall’Anac nel 2016, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, presso la Camera dei Deputati.
Presentazione del Presidente Cantone – pdf 465 kb
Relazione per l’anno 2016 – pdf 2,7 Mb
Tavolo ispettivo ad hoc su settore sanità
È stata posta grande attenzione al settore della sanità, che per i rapporti curati da organizzazioni indipendenti, i tanti fatti di cronaca e le ingenti risorse investite continua a destare particolare preoccupazione.
Grazie alla proficua collaborazione con il Ministero della salute e Agenas, si sono individuate le aree più vulnerabili ad abusi e corruzione (gli appalti, i concorsi, l’accreditamento, la gestione dei proventi delle sperimentazioni cliniche, delle liste d’attesa e delle camere mortuarie) e si è chiesto di adottare per esse specifiche misure preventive, la cui attuazione sarà oggetto di un piano ispettivo ad hoc.
Un’attività volta non a criminalizzare ma a preservare un settore che ha grandi eccellenze e che consente a tutti l’accesso alle cure!
Estratto dalla Relazione di Cantone
Notizie correlate: Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231
ANAC.Linee Guida Codic Comportamento SSN. [vedi in fomdo a pag. 10]
Redazionale. La responsabilità del datore di lavoro e dell’ISF
DECRETO LEGISLATIVO 8 giugno 2001, n. 231
Art. 5
Responsabilità dell’ente
1. L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
2. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Art. 6
Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente
1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che:
a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro
aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul
funzionamento e l’osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente.
4-bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b) (1).
5. È comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.
(1) Comma inserito dall’articolo 14, comma 12, della L. 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dal 1° gennaio 2012, ai
sensi dell’articolo 36, comma 1, della medesima L. 183/2011
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N.d.R.: Solitamente le aziende fanno firmare agli Informatori la presa di visione delle norme vigenti sulla corruzione. In questo modo, qualsiasi cosa di illegale accada, anche su disposizioni del Capo Area o di qualche altra figura apicale, la responsabilità ricade solo e unicamente sull’ISF. Infatti la firma su quel documento dimostra che l’azienda ha informato l’ISF sulle norme di legge, che l’azienda si è dotata di una “policy” e quindi, anche se egli ha “obbedito” a disposizioni verbali superiori, l’azienda non ne è responsabile, a meno che non ci sia uno scritto che dimostri l’avvenuta istigazione a delinquere.
In casi di “istigazione” all’illecito, l’ISF dovrebbe denunciare il superiore per il reato che vorrebbe fargli compiere. In assenza di un Albo o di qualche altra forma di tutela, è facile a dirsi, ma è intuitivo comprendere il perché non verrà fatto. Mediti il Dr. Cantone, mediti!