Aurora Biofarma. L’ad Di Trapani “Ma lo Stato non ci aiuta ad assumere” Abbiano una struttura snella, con sette dipendenti nel settore amministrativo e circa 130 informatori scientifici disseminati in tutta Italia. “PER SUA NATURA, LA PROFESSIONE DELL’INFORMATORE SCIENTIFICO È UN LAVORO A PROVVIGIONE E FLESSIBILE”.
LA BUONA ECONOMIA
Con un modello di business basato sui farmaci di alta qualità, Aurora Biofarma si sta ritagliando un’importante nicchia di mercato (10 milioni di fatturato previsti per il 2015) in un settore dominato dalle multinazionali. L’ad Di Trapani “Ma lo Stato non ci aiuta ad assumere”
di Alexis Paparo 11 Luglio 2014 Economy Up.it L’Italia che vuole crescere
Che il settore farmaceutico in Italia non goda di ottima salute lo si sa da almeno due decenni. Almeno tredici i centri di ricerca e produzione chiusi o dismessi dal 1998, soprattutto di major come Pfizer, Novartis, Sanofi Aventis. Eppure i numeri, che rendono l’Italia seconda solo alla Germania per valore della produzione farmaceutica in Europa, sono di tutto rispetto: 174 fabbriche, 62.300 addetti (90% laureati o diplomati), 28 miliardi di produzione, il cui 71 per cento destinato proprio al mercato estero.
Secondo gli ultimi dati di Farmaindustria, l’export è cresciuto del 14 per cento nel 2013 e del 64 per cento negli ultimi 5 anni (con un aumento del 7 per cento della media manifatturiera). A farla da padrone sono le grandi multinazionali del farmaco, colossi che hanno permesso al mercato italiano di rimanere a galla nonostante la crisi e per le quali l’Italia rimane un polo interessante sì, ma come centro manifatturiero d’eccellenza, mentre ricerca e sviluppo vengono spostati altrove.
Dove c’è meno burocrazia, pressione fiscale, meno complessità nella normativa del lavoro. A questo si aggiunge il fatto che il cliente privilegiato del settore farmaceutico classico è il servizio sanitario nazionale, molto in difficoltà. Un mercato sostanzialmente fermo nel quale, per inserirsi, bisogna cambiare regole, prospettive e modelli di business.
Quello che sta tentando di fare Aurora Biofarma, casa farmaceutica con base a Milano, nata a fine 2010 dalla visione di Nicola Di Trapani e dei suoi soci, tutti ex dirigenti provenienti dal mercato tradizionale. Aurora mette sul mercato prodotti a maggioranza parafarmaceutici e biotecnologici, fabbricati in Italia dalla DDFarma di Lissone, importati dalla Norvegia o di ricerca svizzera. È il consumatore privato a essere il cliente di riferimento, non lo Stato: i farmaci quindi non sono rimborsabili dal SSN e non sono a basso costo, ma si presentano come prodotti di altissima qualità.
Questa la ricetta dell’azienda, che con i suoi farmaci, pensati per adulti, bambini e animali da compagnia, ha scelto di assecondare la spinta salutista che arriva dall’Europa ma si sta diffondendo anche in Italia. “Oggi il consumatore è più consapevole, si documenta su internet prima di andare dal dottore – spiega l’amministratore delegato dell’azienda Nicola Di Trapani – qualche anno fa era soddisfatto se usciva dallo studio medico pieno di ricette con altrettanti medicinali da assumere, oggi cerca di prendere meno prodotti, e se è possibile sceglie quelli a derivazione naturale. Ecco il mercato nel quale abbiamo provato ad inserirci”.
A questo si somma una struttura snella, con sette dipendenti nel settore amministrativo e circa 130 informatori scientifici disseminati in tutta Italia, e la possibilità di fare aggiustamenti e modifiche in corso d’opera a tutte le linee. Trasformazione di prodotto certo, perché “la ricerca è in mano alle multinazionali che riescono ad ammortizzare i costi diffondendo i loro prodotti nei vari Paesi e noi non siamo ancora a questo punto”, ma la scelta sembra pagare.
L’azienda vanta infatti un rating AAA secondo i criteri di Basilea3 e un fatturato in crescita che nel 2015 dovrebbe arrivare a 10 milioni di euro. Un’azienda che punta molto sui giovani, visto che nel 90 per cento dei casi gli informatori sono giovani laureati con un’età compresa tra i 27 e i 35 anni, tutti a partita Iva. Una decisione che, secondo Di Trapani, porta innumerevoli vantaggi: permette al giovane di legarsi all’azienda e crescere con lei sia dal punto di vista professionale che economico, dato che la media degli stipendi tocca i 3mila euro al mese. Proprio per puntare sulle nuove generazioni l’azienda si è aperta fin da subito al tutoring universitario, in collaborazione con le università di Milano e Pavia.
“In quattro anni sono passati da noi tra i 200 e i 250 ragazzi. Noi siamo tuttora in cerca di personale, ma non esiste una forma legislativa che ci aiuti a formare un libero professionista, fornendogli per esempio un supporto economico mentre inizia a immettersi nel mercato – continua l’amministratore delegato – L’università ci ha proposto di creare un master, che però dovrebbe essere finalizzato all’assunzione a tempo determinato o indeterminato. Per sua natura, la professione dell’informatore scientifico è invece un lavoro a provvigione e flessibile”.
“Non sappiamo a chi rivolgerci – conclude Di Trapani – crediamo che la flessibilità che tanto lo Stato propone non debba essere solo facilità di licenziare ma soprattutto quella di assumere e immettere le nuove leve nel mercato”. Tutto il mondo del lavoro, non solo quello farmaceutico, ne gioverebbe.
N.d.R.: Ci dispiace leggere articoli sponsorizzati di questo tipo. Soprattutto per la definizione e la considerazione che il sig. Di Trapani ha nei confronti degli Informatori. E pensare che dovrebbe conoscere la normativa di legge e tutto ciò che riguarda l’informazione scientifica! Per quello che ci risulta è stato infatti informatore in Bracco per poi passare come “Field sales manager” in AstraZeneca, prima di approdare ad Aurora Biofarma. Dovrebbe sapere che l’attività d’informazione scientifica sui farmaci è regolamentata dal D.Lgs. 219/06 ed in particolare lo invitiamo a leggere gli articoli dal 119 in poi, soprattutto il 122. Nulla toglie al coraggio e all’iniziativa imprenditoriale del sig. Di Trapani, ma se vuole del personale a provvigione e flessibile e dedito alla vendita dovrebbe chiamarlo in altro modo, non informatori scientifici. Ė vero, il D.Lgs. 219 ammette contratti anche provvigionali, ma secondo noi, per la sua natura, la professione dell’informatore scientifico dovrebbe essere tutt’altro che flessibile e a provvigione, cioè precario e pagato sulle vendite.