Qual è il ruolo delle aziende farmaceutiche nella ricerca italiana lo spiega il V rapporto nazionale sulla sperimentazione clinica dei medicinali in Italia: gli studi in qualche modo finanziati dall’industria sono il 74%. Il rapporto, relativo al 2005, è stato redatto dall’Osservatorio nazionale dell’Aifa. Se sia una percentuale alta o bassa è difficle dirlo, anche se, a detta di Carlo Tomino, direttore dell’Ufficio Sperimentazione e Ricerca dell’agenzia, segnala una quota rilevante di ricerca indipendente. Ma il punto è un altro, ovvero il numero assoluto di studi condotto in Italia, decisamente inferiore a quello delle altre nazioni europee con una tradizione nel settore. In Italia la ricerca sui farmaci cresce molto lentamente. Si passa dalle 560 sperimentazioni del 2000 alle 620 del 2005. Di queste, la maggior parte riguarda studi di fase II e III e poco di fase I ”che invece – commenta Tomino – rappresentano il migliore investimento per il futuro del settore”. Poiché il rapporto Aifa è ”unico del suo genere in Europa”, diviene difficile fare un confronto sui numeri tra i vari Paesi della Ue, ”anche se – aggiunge Tomino- posso azzardare che in Germania le sperimentazioni raggiungano quota mille l’anno, di cui molte di fase I. Non a caso il 40% dei brevetti biotecnologici europei è tedesco. Un bel vantaggio frutto di investimenti realizzati negli anni scorsi con politiche mirate”.
Le sperimentazioni di Fase I condotte in Italia erano lo 0,9% nel 2000, l’1,9% del 2003 e il 2,3% del 2005; le percentuali di sperimentazioni di fase II e III, negli stessi anni, erano ben più numeroseil 27,5% nel 2000, il 35% nel 2003 e il 36% nel 2005 per la Fase II, mentre per la fase III i valori sono 61,6%, 53,8% e 49,5. Ma qual è la ragione di questa sproporzione? ”L’Italia – ipotizza l’esperto dell’Aifa – sconta ancora gli effetti negativi di una burocratizzazione delle procedure che non c’è più. Oramai la Commissione di fase I, che deve valutare le domande per questo tipo di sperimentazione nel nostro Paese – dice Tomino che ne fa parte – ha ridotto a 45 giorni il tempo entro cui dare una risposta ai richiedenti. Ma evidentemente questa ‘piccola rivoluzione’ non è ancora stata recepita”. Nel frattempo, la scarsità di sperimentazioni di questo genere ”impedisce l’acquisizione del know-how necessario a seguire il prodotto fino alla sua completa realizzazione, una programmazione che consentirebbe all’intero sistema di creare ricchezza”. Inoltre, le risorse destinate alla sperimentazione, sia di fase I che II e III, arrivano con il contagocce. Secondo il rapporto Aifa, infatti, il Belpaese spende lo 0,08% del Pil, pari a 1.070 mln di euro, cioè meno di Gran Bretagna (4.780), Francia (3.950), Germania (3.902) e Belgio (1.529) in Europa, per non parlare di Stati Uniti, Giappone e Svizzera. Dunque poca ricerca in quello che comunque resta un ghiotto mercato per la vendita di prodotti pensati, sviluppati e creati all’estero. “L’Italia resterà sofferente – dice Tomino – finché non renderà appetibili gli investimenti per le aziende farmaceutiche, che da sole finanziano tre quarti delle sperimentazioni. Per questo sarebbe necessario avere nel nostro Paese un quadro normativo e politico stabile, considerato non ‘punitivo’ dalle aziende, che altrimenti continueranno a investire altrove lasciando la ricerca in un continuo stato di sofferenza. Anche perché noi non abbiamo molti filantropi alla Bill Gates che hanno intenzione di finanziare studi scientifici”, ironizza. In questo quadro, ”gli accordi di programma che l’Aifa aveva stipulato con le aziende, così come il premium price rappresentavano un importante co-fattore che poteva sollecitare gli investimenti”. Dopo l’ultima manovra dell’Aifa, confermata dalla Finanziaria, che ha imposto alle aziende di ridurre il prezzo
Le sperimentazioni di Fase I condotte in Italia erano lo 0,9% nel 2000, l’1,9% del 2003 e il 2,3% del 2005; le percentuali di sperimentazioni di fase II e III, negli stessi anni, erano ben più numeroseil 27,5% nel 2000, il 35% nel 2003 e il 36% nel 2005 per la Fase II, mentre per la fase III i valori sono 61,6%, 53,8% e 49,5. Ma qual è la ragione di questa sproporzione? ”L’Italia – ipotizza l’esperto dell’Aifa – sconta ancora gli effetti negativi di una burocratizzazione delle procedure che non c’è più. Oramai la Commissione di fase I, che deve valutare le domande per questo tipo di sperimentazione nel nostro Paese – dice Tomino che ne fa parte – ha ridotto a 45 giorni il tempo entro cui dare una risposta ai richiedenti. Ma evidentemente questa ‘piccola rivoluzione’ non è ancora stata recepita”. Nel frattempo, la scarsità di sperimentazioni di questo genere ”impedisce l’acquisizione del know-how necessario a seguire il prodotto fino alla sua completa realizzazione, una programmazione che consentirebbe all’intero sistema di creare ricchezza”. Inoltre, le risorse destinate alla sperimentazione, sia di fase I che II e III, arrivano con il contagocce. Secondo il rapporto Aifa, infatti, il Belpaese spende lo 0,08% del Pil, pari a 1.070 mln di euro, cioè meno di Gran Bretagna (4.780), Francia (3.950), Germania (3.902) e Belgio (1.529) in Europa, per non parlare di Stati Uniti, Giappone e Svizzera. Dunque poca ricerca in quello che comunque resta un ghiotto mercato per la vendita di prodotti pensati, sviluppati e creati all’estero. “L’Italia resterà sofferente – dice Tomino – finché non renderà appetibili gli investimenti per le aziende farmaceutiche, che da sole finanziano tre quarti delle sperimentazioni. Per questo sarebbe necessario avere nel nostro Paese un quadro normativo e politico stabile, considerato non ‘punitivo’ dalle aziende, che altrimenti continueranno a investire altrove lasciando la ricerca in un continuo stato di sofferenza. Anche perché noi non abbiamo molti filantropi alla Bill Gates che hanno intenzione di finanziare studi scientifici”, ironizza. In questo quadro, ”gli accordi di programma che l’Aifa aveva stipulato con le aziende, così come il premium price rappresentavano un importante co-fattore che poteva sollecitare gli investimenti”. Dopo l’ultima manovra dell’Aifa, confermata dalla Finanziaria, che ha imposto alle aziende di ridurre il prezzo