Tira l’export, ma calano i prezzi e il mercato interno. La strada per il rilancio del farmaco made in Italy non ha alternative: meno tagli e più investimenti, con una lotta senza quartiere alla burocrazia che allontana la voglia delle imprese di puntare sul nostro paese. Sergio Dompé, presidente di Farmindustria, non ha dubbi: «Servono investimenti mirati per sostenere la crescita della farmaceutica, che ormai tutti riconoscono tra i settori strategici della nostra economia. Un riconoscimento che però ora deve passare presto dalle parole ai fatti».
Dompé rilancia la ricetta degli industriali del farmaco. Sulla scrivania il presidente di Farmindustria ha le tabelle Istat sull’andamento dei prezzi e sull’export a novembre 2010. Da una parte il calo dei prezzi dei farmaci scesi del 2,1% in un anno con l’inflazione che ha viaggiato a +1,5%; dall’altra, la crescita ulteriore dell’export della farmaceutica che a fine 2010 chiuderà con un aumento superiore al 15 per cento.
Il classico scenario a doppia velocità. Il differenziale tra inflazione e prezzi dei farmaci ha toccato un nuovo picco negativo: dal 2001 l’inflazione è salita del 20,5%, con i listini dei medicinali che intanto sono scesi del 26,2 per cento. Mentre l’export raggranella successi a doppia cifra a conferma di una vocazione verso l’estero che sta diventando patrimonio delle imprese: nel fatturato del settore, l’export rappresenta quasi il 60% del portafoglio totale. Ma con quel macigno di un mercato interno che dal 2001 a oggi nel pubblico è addirittura sceso.
I rischi per il futuro temuti dalle imprese sono a portata di mano. Con un’occupazione che dal 2008 ha perso più di 8mila addetti e quasi altri 3mila potrebbe perderne quest’anno. L’export che tira sconta così le perdite nel mercato interno, in un settore che deve fare i conti con i generici e con la scadenza di brevetti fondamentali, mentre di nuove molecole quasi non v’è traccia. «La scelta dell’internazionalizzazione fatta dalle nostre imprese è stata vincente. Segno di grandi capacità e vitalità di un settore che sa guardare al futuro. Ma abbiamo un mercato interno asfittico: il ricavo netto sul farmaco etico – afferma Dompé – è il più basso tra i grandi paesi Ue»
Di qui il rilancio per una politica industriale capace di attrarre gli investimenti e di sfidare l’innovazione. Il quadrilatero del Bric (Brasile, Russia, India e Cina) ormai è un modello e insieme un timore. «Mentre gli altri incentivano gli insediamenti, l’Italia ha più che mai bisogno di puntare agli investimenti se davvero vuole essere competitivo». Bella sfida, se consideriamo che tra l’altro da noi per fare decollare un insediamento ci vogliono fino a 5 anni. Tempi biblici nella competizione globale. Che ora l’industria chiede di accelerare, usando tutte le leve possibili. Col taglio della burocrazia, certo. Ma puntando forte verso altre tre direzioni, sintetizza Dompé: «Non penalizzare ancora con i tagli dei prezzi, aiutare gli investimenti strategici rafforzando i contratti di programma con incentivi più aggressivi, garantendo incentivi fiscali per l’export». Una scommessa. Forse non sufficiente, ma che ormai per le imprese non può più essere rinviata.