La standardizzazione dei comportamenti serve a mantenere l’uniformità di azione tipica delle multinazionali che operano sul mercato globale. La prospettiva cambia nelle imprese locali: qui l’assenza di “creatività” può mettere a rischio la vita stessa delle società. Dal numero 161 del magazine
AboutPharma – 25 settembre 2018 –
Spicer ed Alvesson nel loro lavoro “The stupidity paradox” hanno approfondito, tra gli altri, il concetto della cosiddetta “stupidità funzionale” definendola come l’incapacità di (anche validi) dirigenti di mettere in discussione le norme e le attese della propria organizzazione aziendale. In ciò il paradosso: manager molto intelligenti, competenti e capaci che pare
Due declinazioni del concetto
Pertanto, il sintomo della “stupidità” deve essere letto almeno attraverso due prospettive: 1) l’azienda multinazionale e manageriale e 2) l’impresa locale ed imprenditoriale. A tale scopo, si pensi, ad esempio, a un’azienda multinazionale che operi, al contempo, su più mercati con prodotti/servizi omogenei. In questa prospettiva “globale”, il top management ha un’esigenza di controllo sull’organizzazione dovuta alla necessità di garantire l’uniformità di comportamenti, la qualità del prodotto, l’erogazione del servizio, altro, a livello globale. Si perdoni la semplificazione, ma è ovvio che lo stesso prodotto o servizio, al netto di possibili e/o necessarie declinazioni locali, dovrà avere i medesimi connotati “dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”.
L’uniformità dei sistemi complessi
L’azienda è considerata e deve essere percepita come unitaria: si tratta di un indispensabile valore intangibile dell’impresa globale moderna. Potremmo mai immaginare Amazon, Coca Cola, Ikea, o qualsiasi altra realtà multinazionale che non presenti tratti comuni e chiaramente identificabili con le altre aziende appartenenti al medesimo brand? Come può, allora, il manager globale garantire tale unitarietà? La risposta è affatto semplice ma, ai nostri fini, due concetti chiave sono utili:
Si alimenta, è vero, la burocrazia ma si creano i necessari presupposti della continuità aziendale in prospettiva multinazionale. Inoltre, nello scenario globale, eventuali best practice o lesson learned da “incidenti” devono essere analizzati e implementati su tutte le affiliate. Anche queste nuove attività possono essere lette, semplicisticamente, come stupidità aziendale: “che senso ha questo ulteriore controllo? Perdo solo tempo”… è la prima frase che si ascolta in azienda. La seconda è: “prima facevamo così ed era molto meglio”… il frasario è ampio e ben noto a tutti i lettori.
Un metodo per garantire il rispetto delle regole internazionali
Non da ultimo, la descritta necessità di controllo è strumentale a garantire il rispetto della normativa di riferimento e l’integrità dei comportamenti dei dipendenti e collaboratori dell’ente. Si pensi, ad esempio, alle politiche, e relativi controlli, in materia di compliance, di anti-corruption ed anti-bribery ed altro ancora dettati sia da normativa esterna (ad esempio:
Il danno è duplice. A livello di gruppo, si crede di aver mitigato un rischio e normalizzato dei comportamenti; a livello locale, il rischio non è percepito come tale e non è gestito nel modo migliore. Ma così si limita la genialità dei manager, soprattutto locali. Al fine di evitare queste possibili conseguenze nelle organizzazioni evolute vi sono specifici dipartimenti dedicati alla creatività che garantiscono un continuo approccio al mercato in linea con l’evolversi delle sue dinamiche (ivi incluse le
Un fenomeno tra fisiologia e patologia
In conclusione. La stupidità aziendale esiste. In taluni casi è fisiologica, necessaria, alla crescita ed allo sviluppo aziendale: ad un’analisi più attenta, ci si rende conto che poi tanto stupida non sia, anzi! In altri, è patologica ed è un prodromo della crisi di impresa nel lungo andare. Per comprendere con quale tipo di stupidità ci stiamo confrontando è necessario definire la giusta dimensione dell’osservazione: la prospettiva può far cambiare, anche notevolmente, il giudizio finale. Un connotato dell’intelligenza aziendale, in realtà, si rinviene nella capacità di spiegare il perché di talune scelte – apparentemente stupide – al fine di ottenere la condivisione di chi dovrà eseguirle ma anche di ascoltare le loro necessità e ricevere eventuali proposte. La saggezza aziendale, infine, è propria di chi è in grado di riconoscere un errore, ascoltando la “base”, e di porvi rimedio. Richiamandoci a Fernando Pessoa possiamo dire che nella stupidità c’è tanta intelligenza.
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Nota: Secondo i risultati del HR Trends and Salary Report 2016, la carenza di competenze interessa il 97,9% delle organizzazioni italiane.