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PER QUESTI CERVELLI L’ITALIA E’ L’AMERICA

Si sono trasferiti qui per accrescere le conoscenze. «Perché voi avete centri eccellenti dove si lavora con impegno», affermano. Ecco le storie di otto ricercatori «controcorrente»

«Voi italiani tendete a sottovalutare le cose belle e importanti che avete. Certo, la ricerca scientifica è una Cenerentola, i fondi pubblici sono quelli che sono, cioè scarsissimi, i giovani che escono dalle università non sono incentivati a seguire la strada della ricerca scientifica… Ma avete isole d’eccellenza, dove si lavora con soddisfazioni e impegno». Karl Herzog, biologo di origine tedesca, si avvicina ai 50 anni: da due anni, è visiting researcher presso il Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia medica dell’università di Milano. «Coordino un progetto del Cnr per lo studio del glioblastoma, un tumore cerebrale. Sono pienamente soddisfatto delle apparecchiature dell’istituto e del clima in cui lavoriamo: la disponibilità alla collaborazione e allo scambio di informazioni tra noi è ottima e stimolante. E sono queste le vere condizioni per il progresso della scienza». FIORI ALL’OCCHIELLO Herzog non è un esempio isolato, uno studioso eccentrico che ha fatto una scelta controcorrente: il Paese dove si parla sempre e solo di «fuga dei cervelli» è capace anche di attrarne. Perché sul nostro territorio abbiamo centri di eccellenza che calamitano energie, entusiasmi, competenze. Centri dai quali provengono lavori e pubblicazioni che finiscono al settimo posto nelle graduatorie internazionali, un piazzamento ottimo, migliore anche di quello del Paese considerato, in genere, il riferimento aureo della ricerca, gli Stati Uniti. Gabriel Dos Reis, 26 anni, dopo la laurea in Microbiologia a Fatima, in Portogallo, il suo Paese, ha avuto modo di trascorrere due anni di studio a Parigi. «Mi ha attratto in Italia un progetto dello Ieo, l’Istituto europeo di oncologia di Milano: è stata un’esperienza costruttiva, a trecentosessanta gradi, assai importante anche dal punto di vista dello scambio culturale. Ho avuto la possibilità di confrontarmi con ricercatori di moltissimi Paesi diversi. Adesso sono al dipartimento di Fisica dell’università di Milano. A differenza dei francesi, voi italiani siete molto più socievoli: da voi è impossibile restare soli! Ma quello che più mi colpisce è che, quando credete in un progetto, vi ci dedicate con un impegno incredibile, altro che orari rilassati e siesta. Infine, mi ha stupito sapere che il fondatore di quel fantastico istituto, lo Ieo, il professor Umberto Veronesi, sia stato ministro della Sanità per una sola volta, e che poi sia stato dimenticato dalla politica». UN PESSIMISMO DIFFUSO Steven Condliff, 28 anni, è in Italia da due anni. Arriva dalla Nuova Zelanda, lavora a un progetto dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr, una ricerca sul ruolo del calcio nella fisiologia dei neuroni. «Mi piace il vostro stile di vita», dice, «ma che costi! Da voi la vita è molto più cara che nel mio Paese: i colleghi italiani, i laureati che fanno ricerca hanno ragione a lamentarsi del trattamento economico. Mi dicono che negli ultimi anni hanno dovuto scioperare e organizzare ripetute manifestazioni per ottenere mille euro al mese. In generale, però, avverto uno strano atteggiamento, un pessimismo diffuso, come se la maggior parte dei giovani non avesse aspettative nel futuro». Una maggiore dose d’entusiasmo dimostrano, invece, Alexandre Orsato, 27 anni, chimico, e Marina Lipzig Vasquez, 26, che da Rio de Janeiro, dal locale Istituto nazionale dei tumori, si è trasferita a Milano per dedicarsi, presso l’Università Bicocca e l’Ospedale Nuovo di Monza, a un progetto della Fondazione Tettamanzi. «Mi hanno offerto di venire in Italia

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